sabato 31 gennaio 2015

The Answer - Raise a Little Hell Recensione



"Rock and roll music, if you like it, if you feel it, you can't help but move to it. That's what happens to me. I can't help it." 
Elvis Presley

La strada del Rock 'n' Roll è lastricata di band che hanno fatto la storia. Nomi noti ai quali non si può fare a meno di pensare quando si parla di questo genere, pietre miliari verso cui non si può non guardare quando si nomina il genere, veri e propri marchi di fabbrica che ancora oggi sono sulla bocca di tutti, riempiendo non solo le bocche, ma anche i pensieri e, soprattutto le orecchie, incapaci di dimenticare questo glorioso passato che ha dato il via a qualcosa che, molto probabilmente, non morirà mai.
Non è facile, quindi, affacciarsi nel panorama musicale con alle spalle una storia di un tale lignaggio, anche perché il rischio di mancare di rispetto ai propri padri è sempre dietro l'angolo: band sono andate e venute su e giù per questa strada, alcune hanno sostato per decenni su questo percorso fatto di stelle delle musica, altre si sono spente, piccole fiammelle fatte di una luce troppo debole per resistere alla più piccola folata di vento. E poi ci sono loro, i The Answer, una band formatasi nell'Irlanda del Nord nel 2000 e che ha come unico obiettivo quello di rendere fieri quegli antenati che stanno ancora lì, ben saldi con il loro ricordo, su quella strada che non tutti possono percorrere.
Con il nuovo album dal titolo "Raise a Little Hell", in uscita il 9 Marzo per Napalm Records/Audioglobe, i The Answer sembrano intenzionati a ripercorrere i passi dei grandi, creando dodici tracce che sembrano essere un immenso, quanto gradito, omaggio ai tempi d'oro del Rock 'n' Roll, pur non tralasciando guizzi capaci di rendere ben chiara la loro personalità in modo da non farli perdere per quella via tortuosa ed insidiosa che hanno deciso di intraprendere. 
Attraverso la voce graffiante ed incisiva del cantante,  Long Live the Renegades apre le danze mettendo subito in chiaro quello che è il progetto dell'intero cd: fare musica, quella vera, quella più sentita, quella capace di venire direttamente dal più profondo del cuore, senza essere filtrata da niente se non dalle casse del proprio stereo. È un percorso netto, preciso: la direzione è segnata, i motori sono accesi e noi, insieme alla band, veniamo catapultati direttamente su quella strada, sorpassando i vecchi miti, costruendone di nuovi.
Arrivati a metà strada, quasi come se avessimo bisogno di distenderci per riprendere fiato, magari stendendo sull'erba una coperta, pronti ad ammirare il caldo sole di un pomeriggio di luglio, arriva Strange Kinda’ Nothing, una dolce e gradevole ballata dal gusto un po' antico, ma assai gradevole, che ci riporta indietro nel tempo, lasciandoci sognare ad occhi aperti. Non c'è tempo, però, per lasciarsi andare, subito il ritmo riprende piede e, alle delicate note della traccia numero sei, si sostituiscono quelle più incalzanti e veloci di Whiplash, seguite poi da Red e Raise A Little Hell, la degna conclusione di un viaggio iniziato con i migliori auspici e finito perfino troppo presto.
"Raise a Little Hell" non è solo un album capace di portare gloria a quello che resta di un passato indimenticabile, ma svecchia la tradizione attraverso trovate nuove che, però, ben si armonizzano con tutto quanto il resto, creando qualcosa in bilico tra passato e presente che non vorremmo mai smettere di ascoltare.
È un viaggio on the road sul viale dei ricordi, ma sempre con gli occhi puntati verso l'orizzonte più irraggiungibile, là dove il futuro inizia appena a disegnarsi.

7.5/10

Dora



1. Long Live the Renegades
2. The Other Side
3. Aristocrat
4. Cigarettes & Regret
5. Last Days of Summer
6. Strange Kinda’ Nothing
7. I Am What I Am
8. Whiplash
9. Gone Too Long
10. Red
11. I Am Cured
12. Raise A Little Hell

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venerdì 30 gennaio 2015

UNREDEEMED - AMYGDALA RECENSIONE



Uscito il 5 gennaio per la Buil2Kill Records, Amygdala degli italiani Unredeemed ha tutte le carte in regola per catturare l'attenzione degli ascoltatori più esigenti, alla costante ricerca di un sound duro, potente, scolpito nella pietra a colpi di martello (perché uno scalpello sarebbe davvero poca roba a fronte di un progetto di questo genere!).

Mixando alla perfezione influenze musicali che toccano il death, il thrash, l'hardcore, il tutto condito con la presenza di black metal, gli Unredeemed ci conducono in una terra bombardata da suoni violenti attraverso la voce di GMG, che sa esplodere nelle orecchie con la deflagrazione di una granata. Aggressivi sono anche i riff, quasi devastanti nella loro grandiosa potenza, un drumming furente ed un uso del basso che amplifica la sensazione di trovarsi nel mezzo di un uragano capace di strapparti la colonna vertebrale.

Tra le dieci canzoni proposte in questo full-lenght, spiccano senza ombra di dubbio New World (DIS)Order, un riassunto fatto brano di tutta la potenza distruttiva della band, come anche No Name Maddox, nella quale sembra assistere ad una vera e propria lotta tra le voci grazie anche alla più che mai gradita presenza di Steve Sylvester (fondatore del gruppo Horror Metal DeathSS). Forse, però, la vera essenza della band si condensta tutta in Undreemed I am, il vero manifesto del gruppo, che chiude in bellezza un album dall'enorme potenziale.

La violenza è assicurata e l'energia certo non manca. Se il primo impatto è quello di trovarsi dentro ad un disco dei Pantera o dei Lamb of God, la seconda sensazione che subito prende il sopravvento è quella di essere davanti ad una grande prova non solo tecnica, ma anche ad una estrema dimostrazione di passione e talento.

Amygdala racchiude in sé la potenza devastante di una testata nucleare, ma c'è di buono che al suo attacco si sopravvive: perché ne vogliamo di più!

7.5/10

Dora



Tracklist:
01. Drinking with the Devil
02. Lack of Luck
03. The Art of War
04. The Stone
05. Burning City
06. No Name Maddox
07. New World (DIS)Order
08. Questions
09. Cleaning out My Grave
10. Unredeemed I Am
















mercoledì 28 gennaio 2015

Jaani Peuhu – “Tear Catcher”


I greci la chiamano akousma, colui che ascolta senza vedere.
Tear Catcher è il primo album solista di Jaani Peuhu (cantante, compositore, produttore e leader della elettro dark band finlandese Iconcrash).

Dalle atmosfere decadenti, le undici tracce danno forma alle emozioni attraverso il suono come tante piccole istantanee, ma unicamente in forma uditiva.

In maniera totalmente aperta ed intima, l’artista finlandese, come un orologio biologico, va a ritroso nel tempo, amalgamando con raffinatezza le atmosfere synth pop di Jean Michel Jarre in “I Believed”, con quelle più stravaganti e frivole degli Human League in “Follow Me”, fino ad arrivare a quelle più cibernetiche della dark wave del nuovo millennio in "Desire", in un mix equilibrato di melodia e voce.

La preponderanza delle tastiere, ora spettrali e veloci, ora malinconiche, giocano con effetti speciali e suggestive allucinazioni arrivando addirittura ad amplificare i propri sensi.

Tear Catcher appartiene a quella categoria di album che detesterete quando vi sentirete ipnotizzati, ma che amerete nel momento in cui vi disorienterà.

English ver. 
In Greece they call it akousma, to listen without seeing.

Tear Catcher is the first solo album by Jaani Peuhu (singer, composer, producer and leader of the Finnish dark electro band Iconcrash).

With decadent atmospheres, the eleven tracks shape the emotions like many little snapshots that you can only see through the sound.

In a totally open and intimate way, the Finnish artist goes back in time like a biological clock, mixing easily the synth pop athmospheres à la Jean Michel Jarre in "I Believed", with the most extravagant and frivolous Human League in  "Follow Me", until you get to the more cybernetic ones of the new dark wave in "Desire", in a balanced mix of melody and vocals.

The preponderance of the keyboards, sometimes eerie and fast, sometimes melancholic, plays with special effects and suggestive hallucinations, leading you to amplify your senses.

Tear Catcher is an album you’ll hate when you feel hypnotized, but you will love when you’ll be disoriented.

9/10 
Review by Michela 
Editing by Alessia

Data di rilascio: 23.01.2015

Track list:
1. Lifelines
2. Tear Catcher
3. My Sky
4. I Believed
5. Unspoken Loss
6. Mercy Kiss
7. Maybe God Is Asleep
8. Follow Me
9. No Regrets 
10. Did You Ever? 
11. Desire 

martedì 27 gennaio 2015

EPICA - Interview



This is a special moment for our little blog. Epica is the greatest  symphonic metal band in Holland.
After the gig in Milan, on the 24th of November, we had the opportunity to ask them something about the band.
Their drummer Ariën talks about the new album, feelings and much more.

LFdM: Hi guys, thank you very much for this interview, It’s a great honor for us.
Ariën; you’re welcome!

LFdM: Well, - Let's start talking about the new album! After these first six month, how do you feel?
Ariën; I feel very good! The album’s doing very well, and we got very good critics. We’re very happy how the album came out and the positive reception it got.

LFdM: The album shows a great sound evolution compared to the past ones. It’s more lively and fast,  even if your style is always unmistakable. How much time did you work on it?
Ariën; We started working on the album more than half a year before we actually went into the studio for the recordings. We started writing the songs at home, exchanged ideas, putting all the ideas together, and started jamming in the rehearsal room. We had our producer Joost van den Broek with us for feedback, and to take care of the details of the musical parts. We surely made some progression with this album, and the songs are more compact and powerful, in a nice Epica-coating.

LFdM: Has the change in the production brought the effects you wanted? I mean, the final result was exactly what you had in mind or was something completely different and unexpected?
Ariën; The final result was precisely how we wanted it to be. We got a clear, powerful and heavy sound, and it’s still Epica.

LFdM: People use to classify a genre, to label it. Your style, although there are little changes in each album, is always the same.  Do you ever feel the need to totally change your sound and break this rule?
Ariën; We always start from scratch when we write songs, and we see from there which direction it goes. We don’t limit ourselves from the start by forcing the music into a specific direction.

KFdM: To release a  new album is almost like to give birth to a child, in my opinion. You can see its first steps, and you grow along with it, both emotionally and technically. What did “The Quantum Enigma” give you? And what did your previous albums give to this new one?
Ariën; TQE gave me a very good feeling, and it was fun to make this album, all the times in the studio, there was a good and relaxing vibe. We made a careful planning, and it was pretty much going through the list and putting everything together. This album and this time was extra special, because we went to a different studio. Instead of the Gate studios, we went to Sandlane, and worked with different people, and with Joost van den Broek as producer.

LFdM: Each title has a story.  What is the story behind "The Quantum Enigma"?
Ariën; Not everything is what it seems, and we can’t see a lot of things that are actually there in the world and universe. It can be metaphorically too; regarding human behaviour, social problems, religious issues etc. Life is a mystery sometimes.

LfdM: You have a great audience, loyal and always ready to follow you around the world. Is there a special audience to whom you are extremely close?
Ariën; All audiences are great, and very loyal to us. And we to them. I think though, that the more ‘outgoing’ and crazier audience can be found in South America, haha. Those fans are going wild!! Needless to say, it’s a pleasure to play for such a group of metal-maniacs!

LFdM: Let's talk about live performances. Do you think this album is more suitable to be played live or not?
Ariën; I think so, yes. So far we’ve been playing quite some songs of the new album, and they groove and they’re catchy. And they mix quite well with the older material.

LFdM: Again talking about the live shows, how do Simone train her amazing voice?
Ariën; She doesn’t drink any alcohol, she doesn’t smoke, and she warms up before the show. I think that, at home, she sometimes practises and every now and then she follows singing classes.

LFdM: With each and every album, the orchestral parts seem to be more accurate, refined, stretched to perfection. Where does this desire to master this particular music style come from?
Ariën; It’s what we do. We want to be doing what we do in the best way, and go for the best result possible. Otherwise, what’s the point? When I’m playing drums, I want to do that the best way possible, and I can have a bad time when I screw it up, haha.

LFdM: What is the main inspiration behind "Design your universe"?
Ariën; To shape, fill in, and live your life the way you want, with respect for other people. You can live life anyway you want, and set your own goal.

LFdM: Philosophy, Metaphysics and also quantum physics. How did you transform all of this into an album?
Ariën; Mark and Simone write the lyrics. They always have their eyes and ears open to what’s going on in the world. Mark is also much on the internet, looking for information and topics to write about. Somehow he can transform them into typical Epica-lyrics.

LFdM: To end this interview, let's talk about your future projects. Are you already thinking about new material or are you planning to go on hiatus for a while and enjoy your success?
Arien; First we’ll do some intensive touring; South Africa, Greece, the US, South America, summer festivals. We’re going to be busy!

Thank you again!
Cheers!

(Interview by Michela and Dora, editing by Alessia)


01.‘Originem’
02. ‘The Second Stone’
03. ‘The Essence Of Silence’
04. ‘Victims Of Contingency’
05. ‘Sense Without Sanity (The Impervious Code)’
06. ‘Unchain Utopia
07. ‘The Fifth Guardian (Interlude)’
08. ‘Chemical Insomnia
09. ‘Reverence (Living In The Heart)’
10. ‘Omen (The Ghoulish Malady)’
11. ‘Canvas Of Life’
12. ‘Natural Corruption’
13. ‘The Quantum Enigma (Kingdom Of Heaven, Part II)’






Label: Nuclear Blast
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Marilyn Manson - The Pale Emperor

"The Pale Emperor"

Release Date: 15th January 2015

Label: Cooking Vynil 

Country: USA

Genre: Industrial Metal

Track list:
1. Killing Strangers
2. Deep Six
3. Third Day Of A Seven Day Binge
4. The Mephistopheles Of Los Angeles
5. Warship My Wreck
6. Slave Only Dreams To Be King
7. The Devil Beneath My Feet
8. Birds Of Hell Awaiting
9. Cupid Carries A Gun
10. Odds Of Even

"Sono una parte di quella forza che vuole sempre il Male ed opera sempre il Bene" 
(J. W. Von Goethe.)


Il momento più luminoso di una stella avviene quasi sempre un attimo prima che svanisca per sempre.

In molti ormai, avendo assistito ad un rapido quanto mai amaro declino di questo artista, si aspettavano l’attimo in cui il mondo lo avrebbe risucchiato definitivamente nella propria oscurità.

Ma anche le stelle, a volte, sentono il bisogno di vivere per una seconda volta, tornando a brillare anche solo attraverso un piccolo bagliore. Non più come un messia che arringa la sua folla nell’estremo tentativo di disorientare un popolo privo di personalità, la voce di Manson ci arriva dritta al cuore come se stesse parlando più a se stesso che al proprio pubblico.

Un’altalena di sensazioni racchiuse in dieci brani, il più breve tra gli album fino a qui pubblicati, in cui possiamo ritrovare a sprazzi la trasgressione di Holy Wood o l’altezzosità di The Golden Age of Grotesque, in un mix di elettronica e blues che suonano come una marcia trionfale al proprio funerale. 

Più conturbate che scioccante, il piccolo Brian ci mostra la parte più vulnerabile di se stesso ma allo stesso tempo riprende in mano le redini di una band ancora capace di descrivere il male nella sua forma più creativa.

E se già l’accattivante “Hypothetical”, cameo regalato nel secondo album degli Emigrate (side-project di Richard Kruspe dei Rammstein), ci aveva fatto inarcare il sopracciglio, The Pale Emperor rappresenta la definita certezza che quel bagliore lo abbiamo visto sul serio. 

7,5/10
Michela


Members:
Marilyn Manson lead singer
Twiggy Ramirez bassist
Tyler Bates guitarist
Gil Sharone and drummer



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lunedì 26 gennaio 2015

Incarnadine Coven Review



"Driving through the night as mist descends, 
Fleeing from your bite and my fascination with fear 
The hunter of my dreams is chasing me to steal my soul 
Chasing me to steal my soul."

Direttamente dagli angoli nascosti di un mondo che sembra ormai dimenticato, arrivano gli Incarnadine Coven, una band di Reading nel Regno Unito, che con il loro primo lavoro in studio dal titolo “Army of Ghosts” cercano di far conoscere il loro sound al grande pubblico.
Attraverso cinque tracce nelle quali è possibile cogliere tutte le potenzialità della band, gli Incarnadine Coven ci conducono in un viaggio all'interno di un mondo oscuro, fatto di atmosfere molto simili a quelle dei film horror vecchia maniera, accompagnandoci passo dopo passo in quell'universo che la band sembra voler già evocare attraverso il suo nome, suggestivo per i richiami ad una realtà sotterranea, dove il sangue più rosso sembra imbrattare antiche mura ancestrali abitate da una qualche congrega di vampiri che attendono solo di ridestarsi.
My Hypocrisy apre le danze attraverso suoni pesanti della batteria, una chitarra accattivante e ottimi bassi che uniformano la traccia, dando spazio alla voce di Rebecca che si fa largo tra i suoni con sempre maggiore intensità. Sono però Marble Heart e Journey's End i due pezzi che convincono di più nel lotto, forse perché la voce di Rebecca riesce a dare il meglio di sé, rendendo subito note le potenzialità nascoste di questa band che, forse, non riescono ad emergere del tutto da questo loro primo lavoro.
Per essere il loro disco di debutto, gli Incarnadine Coven riescono a sfruttare al meglio il loro background musicale offrendo, allo stesso tempo, una rilettura personale di un qualcosa che ormai è da annoverarsi tra i generi più classici della musica. Non è sicuramente facile imporsi attraverso il metal sinfonico, non quando si hanno pietre di paragone capaci di oscurare le band nascenti, ma questo non vuol dire che è anche il destino degli Incarnadine Coven. 
Se sapranno giocarsi bene le loro carte e se sfrutteranno sempre al meglio le loro capacità, sentiremo parlare ancora di loro.

6.5/10
Dora


Tracklist:
1. My Hypocrisy
2. Marble Heart
3. Journey's End
4. Long Time Dead
5. Tracing the Incarnadine (demo)






Rebecca Cooch - Vocals
Dan Bignell - Guitar and backing vocals
Steven Wallis - Bass and backing vocals
Chris Oaten - Drums and backing vocals
Jenna Grabey - Keyboard/Synth



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sabato 24 gennaio 2015

Intervista ai Cadaveria




Dalle profondità di un mondo oscuro, fatto da sonorità inquietanti che si allungano come ombre spaventose nel cuore, i Cadaveria ci offrono un assaggio della loro personalità e della loro musica attraverso questa intervista.

Les Fleurs du Mal: Per prima cosa grazie per aver accettato di rispondere alle nostre domande. Ci interessa moltissimo approfondire quanti più generi musicali possibili dando la possibilità a band come la vostra di raggiungere ancora più pubblico. Quando e come nascono i Cadaveria?
Marcelo Santos: I CADAVERIA nascono nel 2001 da un’idea mia e di Cadaveria stessa dopo lo split-up dal gruppo in cui militavamo in precedenza. Sentivamo l’esigenza di espandere i nostri confini musicali verso lidi inesplorati e liberi da barriere concettuali che fino allora ci avevano limitato. Ci siamo circondati di validi musicisti che la pensassero nella stessa maniera e con la stessa passione per la musica e l’arte in generale che ci ha sempre caratterizzato.

LFdM: Mi piace sempre fare qualche ricerca prima di parlare con una band, nel vostro caso ho scoperto che militate nella musica da molti anni. Secondo voi cos'è cambiato nel panorama musicale da quando avete iniziato voi fino ad oggi?
M.S.: Anche se ufficialmente io e Cadaveria abbiamo iniziato a fare musica nel 1992, in realtà era già da qualche anno che muovevamo i passi in quest’ambito ed è naturale che ti possa dire che sono cambiate molte cose da allora, dall’affluenza agli show fino alle vendite stesse di un prodotto musicale. Tempo fa si viveva tutto come un grande evento e le uscite musicali non erano così inflazionate. E’ altresì vero che siamo cambiati anche noi, abbiamo acquistato più consapevolezza e disincanto verso quest’affascinante mondo della musica. Ora riusciamo ad affrontare il music system con il giusto approccio senza caricarci di troppo stress e cercando di godercela al massimo. Resta un punto fermo in tutto ciò: c’eravamo prima e ci saremo anche domani.

LFdM: Siamo sempre propensi ad approcciarci ad un gruppo in base al suo genere di appartenenza, al tipo di musica che fa. Personalmente trovo che non sempre sia corretto affibbiare un'etichetta quando, come nel vostro caso, ci sono così tante sfumature di genere: siete un po' gotici, black, alternative, eppure non c'è solo questo. Voi come vi definireste? Ammesso che ci sia davvero un nome adatto a raggruppare tutte le vostre influenze...
M.S.:  Apprezzo l’approccio della domanda perché ha carpito in pieno l’essenza musicale dei CADAVERIA, ovvero non siamo etichettabili. So che lo dicono tutti i gruppi, ma nel nostro caso è più che mai vero. Lo noto nella difficoltà della critica a etichettarci, nel modo in cui si discute della nostra musica e dal pubblico eterogeneo che ci segue. Alla fine abbiamo accettato di buon grado l’appellativo di gruppo Horror Metal perché alla fine non descrive nulla ma ben identifica l’atmosfera da noi ricreata.

LFdM: Parliamo un po' di “Silence”, il vostro ultimo lavoro discografico uscito per Scarlet Records. Ascoltando le diverse tracce che compongono l'album è possibile notare un'infinita gamma di temi e di sonorità. La voce sa spaziare su differenti registri, è un disco ricco e stratificato, raccontateci un po' della sua genesi, dalla pianificazione fino all'effettiva pubblicazione.
M.S.:  La sua nascita è avvenuta pressappoco come l’album precedente “Horror Metal”. Dick Laurent ha lavorato in piena autonomia alla stesura delle melodie e dei riff principali mentre allo stesso modo lavorava Cadaveria alle liriche. Su queste basi ognuno ha potuto farsi un’idea sul proprio ruolo in base al proprio strumento. In fase di pre-produzione poi ci siamo tutti confrontati e amalgamato il tutto. Alla fine ognuno di noi ha avuto un ruolo differente che va dagli arrangiamenti, al mix finale, alla masterizzazione. Possiamo dire che in gran parte è stato un lavoro svolto a distanza l’un dall’altro (anche perché abitiamo tutti lontani tra noi), ma quando si hanno tali affinità e collaudate esperienze, tutto il resto è relativo.
Cadaveria: Personalmente al di là di lavorare con gli altri da remoto, ho passato alcune settimane con Dick Laurent per amalgamare testi e musica in termini di mood e di melodie. Rispetto ai precedenti album abbiamo prestato maggiore attenzione alla creazione della struttura dei brani, in modo che da creare dei crescendo. Alcune canzoni contengono dei veri e propri ritornelli e il risultato principale di questo lavoro è che i brani rimangono nella testa di chi li ascolta.

LFdM: Ascoltandolo, appare un album molto maturo, ben studiato. Come sono cambiati i Cadaveria dalle origini fino a “Silence”?
M.S.:  Come ti accennavo prima, il termine che più mi salta alla mente è “più consapevoli”. Crediamo di essere molto migliorati come musicisti e come compositori. Se all’inizio tanta era la foga di esprimere qualcosa senza troppo ragionarci su, ora curiamo pelo e contro pelo fino a che ogni canzone che sforniamo ci faccia sussultare e rendere orgogliosi di noi stessi. Con “più disincantati” invece intendo che abbiamo qualche ruga in più e qualche capello in meno… di delusioni ne abbiamo ricevute tante e ora siamo forgiati per affrontare senza troppe moine le avventure che questo mestiere ti propone.
Cadaveria: Dal punto di vista dei testi questo album è senza dubbio il più sincero ed intimo, perché raccoglie il mio flusso di coscienza e le mie riflessioni su temi quali l’esistenza, la morte, il destino e l’uso che facciamo del tempo. Visivamente ci sono echi della mia infanzia, come la location circense e da vecchio luna park abbandonato della copertina. Ho sempre percepito il circo in maniera triste e drammatica, alla Charlie Chaplin per intenderci.

LFdM: Essendo voi musicisti ormai ben collaudati, avrete sicuramente accumulato una quantità di esperienza live non indifferente. Come spesso ammetto, è la performance dal vivo a definire realmente la bravura di un artista, perché è facile cantare e suonare in uno studio potendo correggere e modificare ciò che non va, mentre è ben diverso trovarsi un locale dove non c'è margine di errore. Cosa ci potete raccontare della vostra esperienza in giro per l'Italia e non solo?
M.S.:  Condivido la tua premessa in pieno. Posso esentare con certezza i CADAVERIA da tutto questo anche perché quando abbiamo iniziato a fare musica, non esistevano le registrazioni digitali. Si faceva tutto su analogico e si doveva per forza suonare bene finché non era tutto perfetto. Per noi il vantaggio del digitale oggi risiede nella pulizia del suono, ma sappiamo cosa vuol dire “registrare un album”. Come dicevi tu appunto, poi dal vivo saltano fuori tutte le magagne. Questo però non è sempre veritiero; a volte capitano impedimenti tecnici tali che rendono impossibili dei concerti decenti. Certo che se ti capita di vedere una band tre volte e tre volte ha lo stesso problema, allora tali impedimenti forse risiedono nel gruppo. Dico questo perché dal vivo bisogna sempre valutare il contesto ed esimersi da giudizi affrettati.

LFdM: La cosa intrigante del vostro progetto, quella che sicuramente spicca di più al primo ascolto, è la duplice presenza di questa meravigliosa voce a volte molto pulita, altre volte più growl, graffiante, in netto contrasto con l'altra metà. Come riesci a conciliare le due parti, a tenerle a bada senza che l'una si imponga sull'altra mantenendo quell'equilibrio che, poi, è la cifra stilistica del vostro lavoro?
M.S.: Diciamo che più di vent’anni di costante studio e impegno si fanno sentire. La padronanza della dualità vocale di Cadaveria oggi ha raggiunto livelli massimi, ma conoscendola bene posso affermarti che non si fermerà mai, lei è sempre alla costante ricerca della perfezione.
L’equilibrio poi lo raggiungi solo quando conosci bene il caos.
Cadaveria: Ti ringrazio. Cerco sempre di fare del mio meglio e di spostare sempre più in là i miei limiti. Mi annoio a fare le cose uguali a se stesse e mi piacciono le sfide. Senza dubbio la mia versatilità vocale è uno degli elementi che contraddistinguono il gruppo, insieme a quell’alone oscuro e horrorifico che regna perenne nei nostri brani.

LFdM: "Carnival of Doom" è il singolo che avete deciso di utilizzare per lanciare “Silence”. Come si sceglie il brano che è il biglietto da visita per promuovere un disco?
M.S.:  La scelta non è mai semplice e mai approssimativa. Normalmente ci confrontiamo tra di noi e successivamente anche con l’etichetta discografica. La scelta è effettuata anche in base al periodo storico della band, dai feedback dei precedenti lavori, dal senso generale del nuovo disco. Con Carnival of Doom abbiamo optato per un brano abbastanza melodico per stupire poi l’ascoltatore con disco decisamente più duro.
Cadaveria: Si, questa può essere anche un’arma a doppio taglio, perché potrebbe portare a pensare che quel brano è rappresentativo di tutto l’album. Ovviamente ogni scelta comporta dei rischi e noi ci prendiamo i nostri. Chi ascolterà l’album comprenderà bene che ogni brano ha una sua completezza, individualità e identità a se stante.

LFdM: “Silence” è uscito il 18 novembre e ha già riscosso successo. Un bilancio di questa esperienza fino ad ora?
M.S.:  Non possiamo che essere pienamente soddisfatti, le recensioni ci sembrano tutte estremamente positive da ogni parte del mondo e coloro che prima si approcciavano con diffidenza alla nostra proposta musicale, ora sono convinti sostenitori. Non potevamo sperare in meglio, ma sembra che le gratifiche non si stiano fermando qui…

LFdM: Ad un album segue un tour: quali sono i vostri progetti in questo senso? Dove vi devono venire a cercare i fan che vogliono scoprire o riscoprire il vostro sound?
M.S.:  I nostri progetti sono ovviamente quelli di suonare ovunque per promuovere “Silence” e stiamo lavorando intensamente in questi giorni a quest’attività. Per tutti coloro che vorranno sentirci consiglio di seguirci giornalmente sul nostro sito ufficiale dove i nostri bravissimi webmaster aggiornano costantemente tutte le nostre news.
Cadaveria: Mi occupo personalmente anche del booking. Ci sono grosse cose in ballo a partire da marzo 2015. Continuate a seguirci anche attraverso i social networks e presto sapreste di che si tratta.


Vi ringraziamo immensamente per questa chiacchierata, ancora complimenti per il vostro “Silence” e in bocca al lupo per tutti i vostri progetti futuri.

Grazie a te!


Dora

(fotografie di Christian Melfa)


Tracklist:
01. Velo (The Other Side of Hate)
02. Carnival of Doom
03. Free Spirit
04. The Soul That Doesn't Sleep
05. Existence
06. Out Loud
07. Death, Again
08. Exercise1
09. Amost Ghostly
10. Loneliness
11. Strangled Idols

Line-up
Cadaveria - Vocals
Frank Booth - Guitar
Dick Laurent - Guitar
Killer Bob - Bass
Marçelo Santos – Drums




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giovedì 22 gennaio 2015

DEAD SOUL - Interview and photo report!


"I know my destination, can't break this evil spell, I'm gonna burn forever, burn in hell.."

Last night, we had a pleasure to met and breathed their music in an inusual atmosphere.
For the first time DEAD SOUL played in Italy.
They come from Sweden and these are the words of their singer Anders Landelius.

LFdM: Hi guys, we would like to give you our special "welcome" in Italy, also from this small music place. Your sound is like a nebula formed by a blues' soul, an electronic' body and a dark wave' spirit. How was born this idea?
Anders: Like most good ideas it was a matter of coincidence more than anything else. I met Niels briefly back in 2002 and knew that he was a talented musician but it was in 2006 when I was about to record a new solo album (Slidin’ Slim - One man riot) and wanted to do something different and exciting with the blues that I asked him if he wanted to produce it. We had very little in common music wise with my background in the delta blues and his more electronic and adventurous past. 
That was a huge reason why we thought that we could do something interesting together. Not only was the result both fresh and exciting (the album became very successful worldwide) but we also enjoyed working together and became good friends in the process. When we began the work with the follow up to One man riot we found it more interesting to just make the best music we could together without any boundaries at all. I also went through a very dark period in my personal life and felt a strong urge to write about it. After almost 5 years of writing and recording we realized that this was something completely new and it felt natural to give it a new name. Dead Soul was born.  

LFdM: I have to admit that everything you say, we can see and hear from the stage. Your songs are a combination of several different kinds of genres. I could dance with Johnny Cash's ghost in “Burn Forever”, while “The Patient” looks perfect as a Rob Zombie’ s movie soundtrack, full of psychedelic and romantic vibes, but these are just my personal opinions. What can you tell me about the recording process ? Did you notice any difference between the way of working and the way of producing ?
A: Most of the time during the work with In The Darkness we did not spend that much time together in the studio. We knew that we wanted to do soulful and dark record built upon strong and honest songs. Sometimes I came to the studio with a complete song and sometimes I brought just a guitar riff and some vocal lines and a rough lyric. If Niels liked it I usually left him alone to “react” to it and begin his magic process. Niels got a very unorthodox way of working and use guitars to get the weirdest sounds possible as well as electronic gear to achieve unique musical landscapes. 
The only thing we care about is not to lose the original quality of the song in the search to find the right production for it. It is more a matter of making a good song better. During the work with the album many songs went through a lot of different arrangements and productions until they finally became what they are on the album. After 8 years of working together Niels still amazes me with his skills and it’s not surprising that he is becoming more and more in demand as a producer.  

LFdM: Back to blues, rock and electronic sound: what do you like the most of these genres and what are the main influences that helped your music creation?
A: There’s several things that I believe makes us a bit different from other bands. We didn’t form Dead Soul because we had a similar music taste and the same favorite bands like most bands do. Instead we go for certain things that we appreciate in music.  A couple of those things are simplicity and honesty but I certainly wouldn’t be the musician I am without delta blues legends like Robert Johnson and Son House and Niels close relationship to Pink Floyd and Radiohead has shaped his way of creating quite a lot. But first and foremost we try to avoid thinking too much about what other people have done before us and just make the kind of music we would like to listen to.

LFdM: I read somewhere that, at the beginning, you wouldn't have wanted to play live. Why? Live performances have always been the best way to get good vibrations from the audience and to receive the immediate feedback, which is way stronger than what it happens with just listening to cds.
A: I totally agree with you, playing live is a wonderful way to get instant reaction from the audience and it’s great to find ways to perform the songs a little bit different from the album. But because of the way we recorded the album without being concerned with being able to recreate the music live we also considered to just be a non-performing band.  When Ghost asked us to open for them on a gig just after we got signed back in 2012 we decided to give it a chance and it worked very well. During the two years that has gone since that first gig we’ve developed a very strong live act and we couldn’t imagine not playing live now. 

LFdM: Which one between the creative process and the final result has more meaning for you?
A: I would say that it is equally important. We really love the whole process from the first rough idea to recording and producing the song. We both really get a kick out of seeing a song develop BUT it never gets old to listen to the final song after a lot of work.  

LFdM: Since your very first releases, you received a great feedback from the press, did you ever expect this to happen?
A: No. We’ve been involved with music for a long time, writing, recording and playing music live and we know how hard it is to get good reviews (or even get reviews at all) so especially the first couple of very good reviews from some major newspapers was really good to read. We knew that we had made a really good album but we had no idea if it would be a kind of music that would be liked by the reviewers. So that’s has been a nice bonus but in the end nothing beats getting a letter from a fan or seeing people sing along during a show. That’s the greatest reward you can get.

LFdM: Thanks a lot to Anders and Niels for the amazing gig...  We hope to see you again!

Interview by Michela editing by Margherita
Photo shooting by Michela, Alessia Poldi e Alessia Braione


Dead Soul:
Niels Nielsen – Guitar
Anders Landelius – Vocals

Dead Soul live:
Niels Nielsen – Guitar
Anders Landelius – Vocals
Henric Bellinger – Bass/Synthesizer
Martin Hjertstedt – Drums
Joakim Ekstrand – Guitar
Anders Ristenstrand – Synthesizer
Ludvig Kennberg – Drums




martedì 20 gennaio 2015

Recensione di Deaf Eyes




Si dice che sia la voce il vero punto di forza di un album. È la voce a catalizzare l'attenzione su un disco, su una determinata traccia, su un particolare passaggio, sempre la voce a dettare legge nel panorama musicale, decretando la vita o la morte di un brano, se non addirittura di un intero cd.
La voce porta all'estremo limite le potenzialità di un pezzo, ne definisce i colori, le sfumature, se è ben utilizzata può elevare all'ennesima potenza una traccia audio magari anche scarna dal punto di vista musicale, così come può peggiorare un lavoro discreto se non è ben calibrata.
La voce è la padrona indiscussa. La voce è spesso confusa con la musica. La voce, però, non è tutto e lo sanno bene i Deaf Eyes, un progetto parallelo nato dagli Incoming Cerebral Overdrive, che quasi inaspettatamente e contro ogni logica di mercato, hanno deciso di accantonare la voce per concentrarsi su altro, su quello che sta dietro o, meglio ancora, che sta intorno ad essa, dando libero sfogo ad una creatività sorprendente, scevra da quel predominio che, a ben vedere, a volte non ha davvero ragione di esistere.
Nasce così il disco di debutto di questa band toscana che ha tutte le carte in regola per imporsi senza alcuna paura sul mercato discografico, un'ulteriore riprova che non sempre è la voce la vera protagonista di un disco, non quando ogni traccia trova la sua ragion d'essere in una perfetta combinazione di sette note sul pentagramma, mescolate tra loro con maestria ed intelligenza fino a creare sonorità tra il cupo e l'etereo, tra il sogno e la realtà, in perfetto equilibrio tra melodie armoniose e suoni distorti. 
I Deaf Eyes dipingono con la loro musica una tela bianca. Come pennello usano una semplice strumentazione, nulla di così eclatante, ma non è nella potenza del mezzo che si nasconde la bravura, quanto nella voglia di sperimentare, nel desiderio di inventare o reinventare un qualcosa che, senza un'ottima base di partenza, non avrebbe alcun senso di esistere.
Ci troviamo così davanti a brani di forte impatto come  “Black Canvans” e “Mirror”, entrambi pezzi capaci di sintetizzare al meglio la poetica di questa band, forgiata su un tumulto interiore capace di attingere direttamente al vissuto personale dei ragazzi di Pistoia che usano le loro stesse emozioni per dar vita a questo quadro in musica dai colori forti e cangianti. Non è da sottovalutare nemmeno “The Eyes of Regret”, una sorta di battaglia ingaggiata tra i vari strumenti che sfocia in un putiferio di rumori mai messo a caso, accuratamente studiato per catapultare l'ascoltatore in una tempesta di suoni, un maremoto di impulsi sonori, per poi concludersi con una catartica e quasi liberatoria "Commiserate” che scrive la parola fine su un disco davanti al quale non bisogna restare indifferenti.
I Deaf Eyes scelgono di dare al loro album di debutto, uscito a novembre per Argonauta Records, lo stesso nome della band e non è un caso: nelle otto tracce proposte c'è un concentrato di emozioni e sensazioni che ben sintetizza la natura umana dietro al progetto, a dimostrazione del fatto che non c'è solo bisogno di una gran voce per avere un grande album.

7,5/10

Dora


Track List:
1. Black Canvas
2. Mirrors
3. Orbits
4. The Eyes Of Regret
5. Draining Sun
6. Red Desert Lullaby
7. The Withered
8. Commiserate









mercoledì 14 gennaio 2015

MAGI- Recensione di “Forget Me Not”





Definire con poche parole quello che si cela all'interno di Forget me Not, in uscita il 26 Gennaio per Argonauta Records, non è affatto semplice, forse perché non esiste una sola parola capace di riassumere al meglio questo progetto, nato da una costola dei From Oceans To Autumn e dei Mountains Among Us che condividono con i MAGI la stessa, graffiante, potente voce di Brandon capace di spaziare tra diverse sonorità, restituendo atmosfere davvero particolari, richiami evocativi che rendono questo nuovo album qualcosa di davvero apprezzabile.
È difficile definire Forget me Not, proprio perché c'è molto che si nasconde dietro a quello che è un album solido, compatto, dalla struttura ben precisa capace di portare l'ascoltatore esattamente là dove la musica vuole condurlo, in un mondo a metà tra il sogno e l'incubo più oscuro dove a farla da padroni sono sia la voce, ora pulita e lineare, ora un urlo straziante capace di strappare il velo onirico buttandoti in pasto alle tenebre più nere, che il perfetto dosaggio tra chitarra e basso, perfette nel loro dialogo con la voce e capaci di creare tensioni e contrasti.
Quello che, però, si può dire è che il disco non è solo un ottimo connubio tra una base doome/sludge che abbraccia anche il post metal, ma è anche capace di rafforzarsi di interessanti variazioni tra il post-rock, l'ambient e il drone, in una perfetta combinazione di generi tutti ugualmente importanti, capaci di scolpire tra le linee dure e marcate quello che è a tutti gli effetti un vero e proprio album concettuale, capace di raccontare una storia.
Ed è proprio un racconto quello di Forget me Not. Ogni ascolto fornisce un tassello in più di quella che sembra essere una storia dilatata nel tempo, che si forma in soffocanti atmosfere che comprimono lo spazio, chiudendolo attorno a te, facendosi sempre più piccolo, irrespirabile, quasi come se fosse la trama di un film, uno di quei thriller adrenalinici nei quali il finale non è mai scontato o banale.
Brano centrale, capace di focalizzare su di sé la totale attenzione, è certamente “A Million Question” che trascina con sé “The Silence We Display” e “Mystic”, entrambi tracce capaci di riassumere alla perfezione il concept più profondo dell'album. A discostarsi totalmente, un po' come una riprova del continuo susseguirsi di emozioni tese a rendere sempre interessante l'ascolto di tutte quante le tracce, arriva “Stories”, un brano assolutamente diverso, eppure così perfettamente coerente con il resto delle tracce, pur nelle sue sfumature pulite ed eteree, quasi rilassanti.
È chiaro ormai che, con album di questo genere, le parole proprio non servono quindi mettetevi comodi, staccate la spina dalla routine quotidiana, chiudete fuori dalla porta il mondo reale, accedente lo stereo a tutto volume e godetevi questo viaggio all'interno di un mondo non tanto dissimile dal nostro, ma saturo di una musica capace di colorare anche il nero più profondo.

7,5/10

Dora



Tracklist:

1. The Silence We Display
2. Mystic
3. Stories
4. A Million Question
5. In Amity
6. Footsteps
7. Sleep




Line-up:

Brandon – Chitarra, Voce, Programmazione
McClellan – Basso
Helms – Batteria



PYRAH Interview!

Pyrah, an alternative metal band from France.


"De la musique avant toute chose" (cit.)

LFdM: Let's start with your name, has  Pyrah got a particular meaning?
Pyrah: Not really. Even though it contains “Pyra” which could evoke a female fire entity, we chose not to leave it at that and give less importance to the meaning and more to the word. Also because we didn’t want to be seen only as a female-fronted/female-drummer band, but through our music.

LFdM: Let's talk about the history of the band: how did it all start? Was it difficult to choose the members or was it all natural and easy?
P: We got lucky on that part! It happened that all of us were searching for a serious project at the same time. Finding members has been easy, but working together has been the most difficult part so far. We had the same goals but very different expectations of what our music should sound like and how the creative process should work.
It took us a long time to figure out how to integrate all of it in our compositions rather than simplifying what we were doing. 
This was like opting for additive colors rather than subtractive ones.

LFdM: Every album has got its own story, along with funny episodes related with its creation. Can you tell us something about "Where Am I"?
P: Many things happened during the creation and recording process of “Where Am I?”. This album is basically the story of the band’s creation and how we learned how to work together. So it carries all of this, from the first song we made, that we thought pleased everyone, to the last song on which each one of us can do what they enjoy the most while keeping a real consistency.
The recording process also brought its load of surprises. Maybe the most peculiar one was when Stéphanie had an idea at the last moment for “Dear Diary” which brought her to improvize the whole song melody, and did only one take, as everyone loved it.

LFdM: Is there a particular song to summarize your style, your band's soul?
P: We always have a great time playing “Who I Am”. This was the last song we composed and it is typically one in which all of us have the possibility to express ourselves. It also shows how we have evolved since our first months together. This is a song that relies a lot on ambiance and -- in it -- structure is secondary to the construction of energy. 
This is how we feel now: we focus on what we feel when we hear a song and nothing else.

LFdM: Listening to the album, you can perceive something mysterious in every song, in an almost  dreamlike attitude. Is it only my impression or is it something that really belongs to your sound?
P: We didn’t do it on purpose so it must belong to us! But this is something we feel too. There are so many things we don’t understand in the world that we are somewhat bound to create something mysterious when expressing how we feel. Furthermore, Stéphanie is very good at making ethereal voices, which often makes the whole thing sound like a dream.
Most importantly, we are glad that you feel that way. 
We really want to make people dream and if someone tells us that they felt like they travelled by listening to the album, then we know we did something right.

LFdM: Some of the tracks have definitely a post-punk attitude. Speaking of influences may be a little misleading, but in your opinion, is it difficult to find a unique and personal style for a band?
P: Assuming that we found a unique and personal style -- and we think we did -- this may have been the easiest thing to do, as for defining what we were actually doing was much more difficult. When Jean-Loup composes, he clearly has favorite patterns and favorite harmonies that don’t always relate to a particular genre, so it might well just come down to that.
Also, you are right about the post-punk attitude. At the Drive-In, for instance, has been one of Jean-Loup’s favorite bands these past few years, and it has deeply influenced his vision of music as well as the energy that he tries to communicate. 
This is something that we try to keep in mind, although the final song will integrate elements from other styles as everyone adds something to it, and this can be why we feel like it gives something different.

LFdM: The artwork of the album is great! Can you tell us something about it?
P: Thank you! It was made by Romain Christophe who is a very gifted artist who also happened to be a friend of ours. He created everything especially for us. We spend a lot of time defining what we wanted to see and how it should look and he gave a lot of thoughts to the meaning of the songs to make suggestions for us. 
Thanks to him, we could show exactly what we feel, that we also try to show with our music: Because there are so many things we don’t know, and because we never seem to get mature enough, we all feel like children inside a maze.

LFdM: In your social pages, after your introduction, you say Pyrah is suitable for fans of bands like The Agonist, Revamp, Tool, Dillinger Escape Plan, Nevermore … Why this clarification?
P: At the very start, we were asked several times what style of music we were playing and what our influences were. It seemed like a very important thing to do so that people would just give us an ear. But it has always been difficult to define what style was actually ours. So it seemed like a much better way to define what we were doing by saying: “Hey, you can find similarities with these bands, maybe you could like what we are doing.”

LFdM: In 2013/2014 you played a lot of gigs. Can you tell us something about this experience? What did the direct contact with your audience give you?
P: Well, first we got to spend a lot of time together as we travelled from one place to another, which was very bounding. We also got to meet great bands and share experiences. It enabled us to get a broader picture of what the amateur scene looks like in France, but mostly just get to hear great music!
As for the audience, we are constantly learning how to improve on stage. Each show gives us new ideas and make us understand a little more what people expect us to give them. Also, each time we hear comments, good or bad, it gives us a great deal of motivation to continue in this direction. It shows us that it is okay to have a special sound, and that some people are touched by what we do. It also shows us what flaws we should work on correcting, which is something even more motivating as we cannot wait to present something better.

LFdM: What do you see in your future? 
And instead... looking at the past, which are the things that made you grow and which the ones to be forgotten?
P: As we said, we get a lot of motivation to do better and this translate into constantly working on new songs. This will very likely lead to a second album in 2015 even though this is not certain, as we will make sure to spend as much time as necessary on each song and make it as perfect as we can. Of course, we also have a few concerts still planned for 2014.
As for the things that made us grow, it is very often related to the audience, the comments that we receive and the help and support of the community that follows us. This made us more adult in our approach of music, which can be the work that we are able to put in it, or the confidence we hold that we are doing things right even if some would like to hear simpler/catchier rhythms, more usual structures and soli. We know that the most important thing is to keep doing something interesting and to do it our way. 
We cannot say that these are pieces of advice to be forgotten, but they are things we keep in mind in order not to get too close to them.

LFdM: Thank you for your time guys!!
P: It has been a pleasure. Thank you for your interest!

Interview by Dora (editing by Alessandra)

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lunedì 12 gennaio 2015

Kayleth - Recensione di "Space Muffin"



Sperimentare, innovare, trovare vie diverse per proporre la propria musica, rimanere fedeli ad un genere che è quello che sappiamo appartenerci, che è veramente nostro, ma riuscire ad andare oltre alle etichette, ai rigidi paletti che, a volte, sembra essere la stessa musica a imporre, afferrare una possibilità, tenerla stretta e su di essa creare un mondo, un'idea, quella capace di unire ogni cosa, la novità così come le profonde radici che danno basi solide dalle quali partire.
Non è certamente un compito facile. Arduo è l'impresa e non sempre i due mondi, vecchio e nuovo, giovane e vecchio, sanno amalgamarsi così bene da riuscire a ottenere quell'impercettibile equilibrio dentro il quale si nascondono piccole perle di rara bellezza.
A volte capita. Altre volte, sfortunatamente, no. 
I Kayleth hanno saputo trovare questo equilibrio. Sono usciti dagli schemi, hanno smontato le certezze, si sono fatti portavoce di qualcosa di nuovo e hanno trovato il segreto per la perfetta simbiosi, quella capace di colpirti.
Space Muffin, in uscita il 2 Febbraio del 2015 per Argonauta Records, è la perfetta sintesi di quanto detto fino ad ora: non solo un mix perfetto che spazia tra Space Rock, Hard Rock e Stoner Metal, ben più che intelligenti guizzi al limite dello psichedelico, ma anche un interessante e assai gradito omaggio a ciò che è stato, passando per i Monster Magnet e gli Orange Goblin prima maniera. 
L'album si apre con "Mountains", un intrigante connubio di generi perfettamente combinati tra loro, tutti ottimamente dosati al fine di mettere in luce l'estremo potenziale della band veronese, il cui punto di forza non è solo la voce del cantante, ma anche e soprattutto l'impressionante uso della chitarra che arriva a dare corpo a tutta la struttura del brano, destreggiandosi in maniera egregia tra le sonorità dello spazio profondo, dove il cosmo sempre esplodere non tanto in un angosciante silenzio, quanto in un vero e proprio tripudio di suoni.
Se anche "Secret Place" sembra dare un po' la stessa impressione del brano precedente, ecco che con "Spacewlak" gli animi si ridestano, puntando su un leggero cambiamento di rotta che fa apprezzare maggiormente la complessità dei testi, tutti estremamente curati e quantomai perfetti per questo che sembra essere un vero e proprio progetto spaziale, che punta assai in alto, ben oltre l'atmosfera. 
Ogni traccia si rincorre in questo tumultuoso gioco di voce e musica, tra suoni che oltrepassano le barriere ed un uso quantomai perfetto degli strumenti, che danno il loro meglio nella traccia conclusiva, "NGC 2244", che si impone sulle altre anche grazie al suo carattere strumentale.
Sembra quasi di trovarsi ad un concerto intergalattico, tra meteoriti che svolazzano nello spazio siderale e comete pronte a bruciare nell'orbita dei pianeti.
Di certo il primo impatto è dei migliori e, quasi sicuramente, i Kayleth avranno ancora moltissimo da dire. Non resta che mettersi comodi e assistere allo spettacolo: quello offerto da Space Muffin sembra già essere un ottimo assaggio di quello che accadrà nel futuro.

8/10

Dora



Track List

1. MOUNTAINS
2. SECRET PLACE
3. SPACEWALK
4. BARE KNUCKLE
5. BORN TO SUFFER
6. LIES OF MIND
7. TRY TO SAVE THE APPEARANCES
8. NGC 2244

Membri

Voce: Enrico Gastaldo
Chitarra: Massimo Dalla Valle
Batteria: Daniele Pedrollo
Synth: Michele Montanari
Basso: Alessandro Zanetti

Sito ufficiale
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