giovedì 28 maggio 2015

Wasted Puppets: "Puppet Show" recensione

Wasted Puppets- "Puppet Show"

Released on April 8, 2015

Label: Inverse Records

Tracklist:
1. My Sweetest Poison
2. Lousianna’s Son
3. Lovestruck
4. Just Disappear
5. Black Tar Medicine
6. Brothers
7. Your Mother Knew I was Bad News
8. Don’t Save Me
9. Outlaw Story



Che l’heavy metal, come genere musicale, vanti la più alta concentrazione di fan non è così sorprendente al giorno d’oggi, lo diventa se a riproporre il più classico del repertorio è una band di Rovaniemi che, a dispetto dei luoghi e delle tradizioni che dovrebbe rappresentare, ne incarna l’essenza.

“Puppets Show” uscito lo scorso 8 aprile per Inverse Records, è il primo full length della band finnica Puppets Wasted e abbraccia la più brillante carriera di artisti come Zeppelin, Hendrix e Whitesnake, il tutto confezionato in nove canzoni che mettono in bella mostra la profondità ed il talento dei lapponi. 

Convergendo l’intero album verso una musicalità più moderna, il concept viene assimilato con molta spontaneità e fluidità pur rimanendo a stretto contatto con le sonorità tipiche degli degli anni '70 e '80 dei già citati eroi con assoli di chitarra dalle sfumature blues, riff rockeggianti ed una voce sostenuta ed acuta che scaturisce nel tipico urlo liberatorio.

Diventa molto interessante come ogni membro ha fatto proprio un cliché consolidato nel tempo, personalizzando pezzo per pezzo senza sfarzo né forzature, ritardando così di un ventennio l’uscita di questi pupazzi con chiodo e camperos.

7/10
Michela

Members:
Anssi Tuomikoski – Lead vocals, harmonica;
Jani Klemetti – Guitars, backing vocals;
Samuli Visuri – Bass, backing vocals;
Mikko “Hyrski” Hyyryläinen – Drums, percussions, backing vocals


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mercoledì 27 maggio 2015

Lorø - recensione

Lorø

DIO)) DRONE, Red Sound Records, In The Bottle Rec, Cave Canem DIY e Icore Produzioni

Tracklist:

01. Pollock
02. Thalia
03. A Trick Named God
04. High Five
05. Ø
06. At Mortem
07. Clow's Love Ritual
08. Faster, Louder & Better
09. To Whom It May Concern




L'espressione astratta dell'arte trova in Pollock uno dei suoi massimi esponenti, un genio come tanti lo hanno definito e come oggi tutti lo conoscono, qualcuno che attraverso una visione nuova e totalmente diversa da quella preconfezionata dell'oggetto artistico ha saputo reinventare un mondo, appropriandosene e facendolo suo, per poi restituirlo a noi lasciandoci liberi di leggere sulla tela ciò che volevamo, un sentimento, uno stato d'animo, una storia o un racconto tratteggiato in un arabesco di colori che, apparentemente, sembrano non avere alcun significato.

Non è un caso se i Lorø, band math-noise, electro, sperimental di Montagnana in provincia di Padova, ha scelto proprio Pollock come titolo per il singolo del loro album di debutto che si fregia di un nome da un gusto un po' nordico, con questa "o" sbarrata che cambia un po' il senso di una parola alquanto comune, rendendola forse perfino un po' speciale, di certo diversa per chi con l'aptang non ha nulla a che fare.

L'album è un contenitore di innovazione e sperimentazione, forse perfino troppa per un ascoltatore non abituato ad un genere capace di spaziare per una così vasta e svariata gamma di sonorità che vanno da un groove vario ed eterogeneo a riff graffianti ed immediati, passando per un sound che a volte pare quasi cinematografico, così ricco e pieno che sembra essere la colonna sonora di uno psichedelico film di fantascienza o ancora dentro al più inquietante dei remake del "Gabinetto del Dottor Caligari".

Synth, atmosfere elettroniche capaci di offuscare la mente, ruvidi passaggi che a volte sembrano essere carta vetrata sul viso appena accarezzato dalla soffice mano di un noise-ambient che a volte arriva ad essere quasi straniante, Lorø è un album che arriva davvero a travolgere i sensi, scuotendoli ed ottenebrandoli, ghermendoli con la più cruda fermezza per poi quasi cullarli dolcemente in una landa a metà strada tra i generi, li stessi di cui la band si fa portavoce riuscendo ad essere solidi e allo stesso tempo originale.

Tra i brani più convincenti spiccano certamente "Thalia" per la ricchezza di suoni e per quella melodia che ricorda terre lontane, un'eco arabeggiante che rende il pezzo particolare e piacevole.

"Ø", proprio a metà del disco, sembra essere un elemento di frattura, quella barra sulla O, quella ferita che trancia in due un cerchio perfetto, la nota leggermente stonata tra le tante eseguite alla perfezione; troppo straniante per essere assimilato, è il brano che meglio di tutti traduce l'inventiva e l'innovazione che il trio vuole portare nel mondo della musica, ma forse non tutti sono ancora pronti per tanto ardire, un p' come non tutti sono pronti per quell'aptang che di certo farà ancora parlare di sé.

7/10
Dora


Members: Alessandro Bonini, Riccardo Zulato, Mattia Bonafini

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OBESE - Kali Yuga Recensione

KALI YUGA

Release: 1/06/2015

Label: Argonauta Records

TRACK LISTING
01 - Enion
02 - Rite Of Fire
03 - Kali Yuga
04 - The Bitter Blast
05 - Red As The Sun
06 - Steamroller
07 - Down The Gauntlet
08 - Bow
09 - Begetter Dead Letter



Se fossimo nella Divina Commedia di Dante Alighieri di sicuro ci troveremmo nel VI Canto, più precisamente nel III Cerchio, dove i dannati sono costantemente funestati da una pioggia eterna, mista a neve, che forma una fanghiglia nella quale noi saremmo sdraiati, con Cerbero che latra a più non posso sguainando le sue fauci fameliche, dilaniando i nostri corpi di peccatori.

Questo è il crudele, oltre che orrendo destino che spetta a chi è destinato al girone dei golosi. E noi lo siamo, soprattutto dopo aver ascoltato gli olandesi Obese, che con Kali Yuga, nuova proposta musicale nel panorama di Argonauta Records - in uscita a giugno - sembrano davvero aver voglia di condannare le nostre anime proprio lì, dove Dante incontra spiriti erranti assai importanti per il suo percorso.

Il menu si compone di ben nove, gustosissime portate, ormai non ha senso nemmeno chiamarle tracce perché sono davvero succulenti bocconcini da gustare con tutta calma, che partono con una magnifica "Enion" e già questa basta a stuzzicare l'appetito dei più esigenti, ma se non dovesse bastare, lasciatevi tentare dalla stessa "Kali Yuga" o "Red as the Sun", ottime come piatti unici, ma anche da accompagnare ad un bel boccale di birra ghiacciata.

Si può essere golosi in molti modi. Golosi di cibo certamente, ma anche di musica, amanti di suoni corposi, avvolgenti, affamati di una voce corpulenta e a dir poco portentosa, capace di farci venire un certo languorino, un po' come se ci trovassimo davanti ad un cosciotto di pollo fritto pronto per essere addentato.

Ah, poveri noi peccatori, che non ci accontentiamo ancora e che abbiamo voglia di riff sostanziosi, che un po' ricordano le sonorità degli High on Fire, o perché no, anche dei Torche o dei Crowbar, che non ci saziamo mai e che cerchiamo senza sosta uno stoner sludge metal con echi prog che richiamano un po' anche il rock del profondo sud di New Orleans.

Gli Obese sono la quintessenza di tutto questo, ma poi non vi lamentate se finite all'Inferno: noi vi abbiamo avvertito!

8/10
Dora

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martedì 26 maggio 2015

MY SLEEPING KARMA - Moksha recensione

Moksha


Release: 29 Maggio 2015

Track List

1. Prithvi
2. Interlude 1
3. Vayu
4. Interlude 2
5. Akasha
6. Interlude 3
7. Moksha
8. Interlude 4
9. Jalam
10. Interlude 5
11. Agni

Ci sono momenti in cui l'anima ha bisogni di riposare. Attimi nei quali il corpo chiede una pausa, un solo, piccolo istante per staccare la spina, lasciarsi alle spalle la frenesia del mondo e ricaricare le batterie per poi rimettersi in carreggiata, per tornare ad essere più forte, pieno di energia.

Anche la musica ha bisogno di questi brandelli di tempo, di queste piccole tasche all'interno del flusso delle note nelle quali rifugiarsi per poter crescere, diventare sempre più grande, espandersi quasi come fosse un piccolo globo di energia che, dapprima minuscolo, si fa sempre più grosso, vitale, pulsante, per poi aprirsi come un fiore di loto che galleggia sulla superficie dell'acqua.

Moksha è un fragile e delicato fiore di un'eleganza quasi classica, costruito con egregia maestria dai My Sleeping Karma, band tedesca al loro quinto lavoro discografico, ora più che mai consapevoli del loro potenziale, capaci di stupirci con questo delizioso capolavoro strutturato su undici tracce, di cui cinque preludi, che ci accompagnano in quella che sembra essere quella ricerca del tempo che la nostra anima ha perduto, quell'attimo di cui abbiamo bisogno per ritrovare noi stessi, smarriti nel caos di un mondo che ruota ormai troppo velocemente e che sembra aver fagocitato anche la musica. 

“Moksha” è la traccia che meglio sintetizza il lavoro fatto in tutto l'album, non è certo un caso se prende il nome del disco, ma anche gli interludi, che ad un primo ascolto forse possono sembrare slegati dalle tracce principali, trovano in realtà una loro perfetta collocazione all'interno del disco come una sorta di ascolto preparatorio ai brani che precedono. 

La band fonde in maniera sapiente in misticismo orientale con un progressive rock psichedelico e strumentale che si fonde alla perfezione grazie a linee pulite, sonorità a volte quasi spettrali e riff melodici capaci di abbracciare orizzonti sempre nuovi, pronti a spingere anche noi verso confini non ancora esplorati. 

Con questo disco i  My Sleeping Karma ci regalano un momento di pura magia che forse anche i meno avvezzi a questo tipo di musica potranno trovare piacevole.

7.5/10
Dora

Members:

Seppi - guitars
Matte - bass guitar
Steffen - drums
Norman - soundboard


photo credit:Tim Bohnenstingl

lunedì 25 maggio 2015

NIBIRU - Intervista



Nella campagna alessandrina lo scorso 10 maggio si è svolta la prima edizione dell'Argonauta Fest, un’occasione che ci ha permesso non solo di apprezzare dal vivo le band che in questi mesi abbiamo recensito ma anche, con alcune di loro, di scambiare impressioni e stati d’animo.

Tra i gruppi che maggiormente stanno catturando l’attenzione di molti ascoltatori ci sono i Nibiru, ovvero un insieme di vibrazioni che nascono dalle viscere della terra per esplodere in un vortice di suoni.

A parlarci di loro e della loro musica sono gli stessi protagonisti Ardath, Siatris e Ri.

LFdM: Ciao ragazzi, prima di iniziare un doveroso saluto da parte della mia socia Dora che è anche l’autrice della recensione che avete di recente letto sul nostro blog del vostro ultimo album “Padmalotus”, e che ci teneva, visto che non è qua, a mandarvi i suoi saluti.
NIBIRU: CIAO DORA grazie di cuore per le parole!

LFdM: Benissimo, premetto subito che non sono una giornalista, pertanto, rispetto agli addetti ai lavori, non andrò alla ricerca delle piccole sottigliezze tecniche, ma l'intervista sarà un po’ più viscerale ed istintiva. Parlando di “Padmalotus” la prima sensazione che mi ho avuto è stato questo senso di libertà, come se le canzoni fossero uscite ed incise subito su nastro, senza studi particolari, aggiustature ecc… cose che si fanno abitualmente in uno studio di registrazione alla fine. Ecco, qualcosa che non è stata studiata a tavolino prima.
Ri: Assolutamente l’impressione che hai avuto è proprio quella. Noi non confezioniamo niente, né tanto meno partiamo con un’idea predefinita in testa, tutto ciò che avviene in quel preciso momento in cui ci troviamo assieme viene trasformato in suono.  Ovviamente si ottiene il buono ed il cattivo, quello che ci convince al momento viene tenuto mentre il resto viene scartato o riascoltato in seguito per capire se effettivamente è roba da buttare. Sicuramente il fattore immediatezza gioca un ruolo fondamentale.

LFDM: Quindi il vostro suono è frutto dell’improvvisazione o della sperimentazione. Faccio questa domanda perché oggi ritengo che vi è un notevole abuso della parola “sperimentazione” che fa perdere di valore al reale significato della parola stessa.
RI: Assolutamente è figlio dell’improvvisazione, di sperimentazione nella nostra musica ce n’è veramente molto poca, è quasi assente ad essere onesti. Anche se rispetto a Netrayoni questo album ha pezzi più strutturati rispetto ai precedenti, non sarebbe stato di fatto possibile ripeterci o riproporre anche solo lontanamente lo stesso suono, l’unica cosa che abbiamo affinato, diciamo cosi, è stata quella di conferire a questa improvvisazione una struttura più solida rispetto agli album precedenti.
Ardath: Ripetere Netrayoni sarebbe stato impossibile, nel senso che non sapevamo nemmeno noi cosa stavamo facendo. Netrayoni è figlio di una situazione, cosi come tutte le nostre canzoni e tu non puoi riproporre qualcosa che è unica nel suo genere. Violentarci per riprodurre la stessa cosa sarebbe stata una presa in giro prima nei nostri confronti poi verso il nostro pubblico. Potrebbe anche succedere, magari fra tre anni capiterà di nuovo chissà.

LFdM: Quindi possiamo parlare di un'urgenza più personale che non musicale?
RI: No personale non direi, non abbiamo detto “adesso facciamo un disco più strutturato”, semplicemente dai riff, dai giri che sono venuti fuori, l’album ha assunto una corposità di più tecnica, ma prendilo sempre con il beneficio del dubbio, perché comunque l’improvvisazione rimane la stessa. Ci siamo ritrovati fra le mani dei pezzi più strutturabili, registrati sempre in presa diretta e ce li siamo immaginati come potevano suonare con queste sovraincisioni, che rimangono pochissime e comunque più definite dall’uso dei synth, piuttosto che campionate.

LFdM: Quando registrate o pensate ad un pezzo, la vostra idea principale è quella di una riproduzione precisa da studio o di un'interpretazione da riproporre live?
Ardath: Live assolutamente, il nostro studio di registrazione è un non-studio, quando registriamo il nostro pensiero va subito all’esibizione live, l’intensità è e deve essere la stessa.

LFdM: Beh è piuttosto inusuale ed importante per una band se consideriamo la durata dei brani, i vostri sono molti lunghi quindi occorre fare un grosso lavoro per non, passatemi il termine, annoiare il pubblico.
Ardath: Devono essere canzoni in grado di coinvolgere il pubblico, il tempo diventa relativo e devi avere la capacità di fermarlo o farlo scorrere in modo fluido.

LFdM: Sì me ne sono accorta, quando si ascoltano le vostre canzoni il tempo perde il suo significato è come se foste in grado di annullarlo e questo obbiettivo credo che sia stato centrato in pieno.
RI: Ottimo, ti ringrazio e sono d’accordo, alla fine il tempo si dilata o si annulla semplicemente perché esiste, se non esistesse non saremo qui adesso. Sicuramente non accettiamo le imposizioni, questa è stata anche la scelta nei precedenti album di autogestirci, perché non avremmo mai accettato delle imposizioni o delle cose predefinite. Fortunatamente per questo album abbiamo trovato una persona, come Gero, che consapevole di questo ci ha lasciato molta libertà di espressione in questo senso.

LFdM: L’alchimia. E’ stata una delle domande che ho posto a Gero quando ho avuto occasione di intervistarlo, riuscire a trovare quell’equilibrio fra etichetta e band che va oltre la semplice richiesta di mercato, che oggi giorno è praticamente inesistente perché la maggior parte delle persone non sa cosa vuole, cosa cerca, prende tutto (o quasi) per buono soprattutto se questo ha un forte impatto a livello di immagine. Lo vedo quotidianamente, la musica viene messa in secondo piano rispetto all’immagine che una band (consciamente e furbamente) vuole trasmettere.
RI: Assolutamente d’accordo. E' molto facile accontentarsi e prendere per buono tutto quello che ti viene proposto ed è estremamente facile oggi etichettarsi.

LFdM: Soprattutto voi non assomigliate a nessuno ed è un altro aspetto da non sottovalutare, perché è altrettanto facile mettere sul mercato un prodotto dove la prima cosa che viene evidenziata è l'appartenenza, il famoso asso nella manica che ti permettere di acquisire a priori quelle 100 copie senza nemmeno averlo ascoltato, è un po' come se dicessero di voi che assomigliate ai Black Sabbath solamente perché le vostre influenze provengono dagli anni '60 e '70.
RI:  Secondo me c'è un discorso anagrafico che è imprescindibile, visto che nessuno di noi è più un ragazzino, credo che alla fine il prodotto che abbiamo ottenuto non sia altro che l'aver portato all'interno del nostro lavoro inconsciamente le nostre influenze giovanili, dall'heavy metal al death, dall' industrial e dark wave degli anni 80, tutto lì. Ripeto, inconsciamente, perché di conscio nella nostra musica non vi è assolutamente niente.

LFdM: Ammetto che avevo un po' di timore a citare certe influenze parlando della vostra musica solo perché quando ami un certo genere musicale, vedi la dark wave, si tende a percepirlo anche laddove non c'è in realtà, quindi sono contenta di questa conferma, soprattutto perché avete fatto vostro una piccola parte di ognuno di questi generi. Un altro aspetto interessante nella vostra musica è il linguaggio che utilizzate per i testi. Come e dove nasce quest'idea? Sempre che dietro ci sia un'idea ovviamente.
Ardath: L'idea è nata quando abbiamo iniziato a lavorare su Caosgon, serviva qualcosa che potesse legare con la nostra musica, che avesse maggiore libertà gestionale, fonetica e di espressione. Abbiamo iniziato a provare e l'enochiano e si è inserito perfettamente, è anche molto ritualistico come la nostra musica, ma nemmeno questo è stato voluto.
Siatris: Sinceramente non mi ricordo nemmeno quando lo abbiamo scelto. Semplicemente quando abbiamo finito ed abbiamo riascoltato i brani ci stava. È avvenuto tutto in modo molto naturale, come la vita, senza dover pensare a come farlo o quando farlo, abbiamo svuotato la mente e l'abbiamo fatta correre ed è anche quello che ci ha unito fin dall'inizio.

LFdM:Sotto certi aspetti mi ricordate molto alcune band nord europee. Alcune delle vostre caratteristiche si avvicinano molto di più al nord Europa anche come mentalità che non al nostro paese o comunque ai paesi latini. Anche perché in nord Europa avevano già fin dai primi anni 70' iniziato a fare un certo tipo di musica simile al vostro, qua ancora non c'è nessuno.
RI: Assolutamente si. Ti faccio un esempio banale ma che rende l'idea, praticamente in tutte le nostre recensioni, viene menzionato il genere krautrock degli anni settanta, ti posso assicurare che nessuno di noi tre ha un disco krautrock in casa, questo ti fa capire quanto la cosa sia venuta spontanea e quanto sia difficile per gli addetti ai lavori darci un'etichetta, che può anche starci se devi, in un certo senso, instradare gli utenti.

LFdM:  La mente di tutto questo è unica o ognuno ha la sua parte?
RI: Unica, musica, parole vengono assemblati assieme, a parte i testi che li gestisce Ardath, il resto può nascere da un giro di basso piuttosto che da un synth.
Ardath: Ecco perché, come dicevano all'inizio è difficile riprodurre Netrayoni, sarebbe come fare un concerto completamente improvvisato, è un disco che ha un inizio ma non ha una fine, mentre già Padmalotus ha il suo finale, potremmo rifarne alcune di canzoni da Netrayoni e saremmo sicuramente in grado di farlo, ma non avrebbero le stesse vibrazioni.

LFdM: Voi attingete molto anche dalla cinematografia horror, specie quella grande italiana degli anni '70. Questo anche in funzione di una eventuale scelta per un video o no?
RI: Siamo molto legati ad un certo tipo di filmologia italiana, un po' più limitati sulla questione video a dirla tutta perché tendono un po' a bannarci, visto che per qualche scena saffica la censura ci ha colpiti nonostante si trovi in giro video ben più osceni, ma va bene cosi.

LFdM: Diciamo che ce la facciamo andare bene dai sarebbe inutile questionare sul niente direi. E per il domani?
Ardath: Da Padmalotus sono avanzati almeno quattro pezzi che abbiamo dovuto lasciar fuori altrimenti diventava un album doppio, quindi dal punto di vista produttivo stiamo andando ancora a mille.
RI: Ovviamente l'urgenza di accendere gli amplificatori e vedere cosa viene fuori c'è ancora, fermare l'attimo, siamo curiosi anche noi di scoprire cosa potrà succedere, chissà magari quattro alcun in quattro anni, tutto è possibile.

LFdM: Rispetto a moltissime band siete arrivati al successo ad un'età già avanzata, è stato la realizzazione di un sogno?
RI: Beh tutti noi abbiamo iniziato molti anni fa, ma sì, penso di poter parlare a nome di tutti, una sinergia come adesso non c'è mai stata quindi è stata sicuramente una realizzazione sia dal punto di vista personale che musicale importante che doveva venire fuori ora ed cosi è stato.

LFdM: Ragazzi che dirvi, grazie mille e ci vediamo tra poco sul palco.
NIBIRU: grazie a te.


Michela  

"Padmalotus" recensione Qui
Argonauta Fest photo gallery Qui

Somehow Jo! - Satans of Swing Recensione

Satans of Swing

Label: Inverse Records

Release: 4 Maggio 2015

01. Next King
02. LoveSong
03. Goodbye
04. Hatesong
05. Fool
06. Great Sex & Red Wine
07. Hellhole Bar
08. Beginning
09. Satans Swing





Lavorando su una vasta gamma di arrangiamenti, ecco che i finlandesi Somehow JO! ripropongono il più classico dell'alternative rock, o meglio, quello che a metà degli ottanta andandosi a fondere con la parte più sporca dell'allora scena underground ha dato vita ad uno dei più importanti movimenti musicali degli ultimi 25 anni.

Pur essendo al loro debutto discografico l'album non si presenta male, le chitarre sono pulite cosi come la voce del singer che si diverte tra vezzi lirici alla Chris Cornell e melodie più sporche e progressiste alla Deftones.

Buona anche la costruzione del disco che magari dimostra si che una sessione di masterizzazione (Teemu Kinnunen) in più alle volte non guasta, ma che in ogni caso mette in risalto la crescita che questa band ha dimostrato di aver avuto dal suo esordio (2009) ad oggi.

Per chi non fosse  ancora sazio delle belle terre nordiche, i Somehow Jo! sono tra quelle piccole band da tenere sotto controllo e dal quale non si sa mai che qualche neurone impazzito possa sempre uscire fuori.

Piccolo cameo, Noora Louhimo dei Battle Beast e Klaus Wirzenius (Manzana), hanno dato il loro contributo in alcuni brani del disco.

6,5/10
Michela

Members: 
Christian Sauren, Vox, Gtr
Sakari Karjalainen, Gtr, Back Vox
Eero Aaltonen, Bass, Vox
Lassi Peiponen, Drums
Cardina123Satan, Acc Gtr, Banjo, etc...

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venerdì 22 maggio 2015

BLOODLOST - Evil Origins Recensione

Evil Origins

Release: 22 Maggio 2015


TRACK LIST
1. Azazel
2. Hammer On Your Face
3. El Diablo
4. I Am Evil
5. The Doors
6. Legion From Hell
7. Demolition
8. Bring My Bitch
9. Born From Fire
10. The Undertaker


Se pensate che la Svizzera sia solo il paradiso del rock, del folk e del pagan metal, sappiate che stiamo per smentirvi perché è anche la terra dei Bloodlost, che con il loro terzo album in uscita oggi 22 Maggio per Massacre Records, ha finalmente stabilizzato la sua formazione decidendo di imporsi sulle scene musicali con un thrash metal che rimescola le carte in tavola, giocando soprattutto su un gusto quasi retro per questo particolare genere, andando ad attingere da grandi maestri del settore come gli Slayer, i Testament e i Death Angel.

Spalanchiamo le porte dell'Inferno, avviciniamoci al baratro più nero, guardiamo nell'abisso senza la paura di esserne fagocitati per scoprire che cosa si nasconde nel suo cuore più profondo, lasciamoci accompagnare da una voce graffiante che non ha paura di risvegliare i demoni dormienti degli inferi, da una batteria che martella nel cervello e che pulsa al ritmo del sangue che pompa nelle vene riscaldato da un basso che ne muove ogni singola goccia quasi impazzita.

Tra le tracce che più convincono "El Diablo" occupa un posto d'onore, non solo per la potenza distruttiva che in poco più di tre minuti rischia di fare piazza pulita di tutto ciò che ci circonda, ma anche perché mette in evidenza le potenzialità di quella che è una band giovane con già un arsenale ricco e degno di nota; con "I Am Evil", il trio non ha paura a raccontare che il male, quello vero, il più pericoloso tra tutti, si nasconde nell'animo umano e lo fa con un ritornello incisivo, pulito e di forte impatto, un suono gutturale e profondo, quasi di pancia e di gola. Più tradizionale è invece "Bring my Bitch" che nel suo baccano caotico e frastornante trova la sua cifra stilistica più pura e semplice.

Rimbalzando da una "Legion From Hell" che omaggia gli Slayer, passando poi per un forte richiamo ai Death Angel in "Undertaker", le dieci tracce sono già pronte per essere urlate ai festival estivi e promettono di mietere vittime tra un pubblico scatenato che certo non si risparmierà di partecipare attivamente, con sudore e probabilmente anche tanto sangue, a quella che è in assoluto la più devastante manifestazione di rabbia, potenza e libertà che la musica è capace di regalarci.

7/10
Dora


LINE-UP
Francisco "Tchico" Martins - Guitar, Vocals
Nico Fontannaz - Drums
Lionel Fontannaz - Bass, Backing Vocals

ANTI-FLAG - “American Spring” Recensione

ANTI-FLAG “American Spring”

Pubblicazione: 26 maggio

Etichetta: Spinefarm/Universal

Tracklist:
01. Fabled World
02. The Great Divide
03. Brandenburg Gate
04. Sky is Falling
05. Walk Away
06. Song For Your Enemy
07. Set Yourself of Fire
08. All Of The Poison, All Of The Pain
09. Break Something
10. Without End
11. Believer
12. To Hell With Boredom
13. Low Expectations
14. The Debate is Over (If You Want It)


L’antidoto all’antidoto. La musica non soltanto come manifesto culturale e sociale, attraverso il quale è possibile diffondere la propria ideologia, ma anche come mero pretesto per combattere il senso di apatia che ormai permane nella nostra quotidianità.

Gli Anti-Flag tornano con un nuovo album, il decimo in studio; “American-Spring” sarà disponibile dal prossimo 26 maggio per Spinefarm Universal e promette un’esplosione di suoni.

Non stiamo certo parlando di pivellini, gli statunitensi hanno mosso i primi passi nel 1994 e da allora hanno sempre movimentato e sconquassato la scena punk rock d’oltreoceano. 

Come ci anticipa la copertina, l’album ti colpisce con una melodia immediata e velocissimi scambi di battute che arrivano dritti in faccia come un destro che non riesci a schivare, “quel” suono che di generazione in generazione non ha mai cambiato il proprio stile.

Il vecchio punk irriverente, sofferente, ma soprattutto vero, scavalca la barricata gettandosi nella mischia con una forte personalità, ponendosi al centro del ring per fronteggiare le avversità non più con la forza fisica ma con la maturità intellettiva, ed è proprio questa la chiave di lettura giusta secondo il leader Justin Sane, la musica come unico modo per arrivare il più possibile alle persone incoraggiandole a non mollare.

Per tutto l’album si respirano i ricordi di mille battaglie giocate assieme ai compagni del sistema come Rancid, il cui frontman Tim Armstrong lo troviamo come special guest nella canzone “Brandenburg Gate”,  Bad Religion e Dead Kennedys.

Niente da toccare, niente da migliorare, solo da apprezzare e pogare!

Gran bel colpo!

8/10
Michela

Line-up:
Justin Sane – Guitar/Vocals
Chris Head - Guitar
Pat Thetic - Drums
Chris #2 – Bass/Vocals

giovedì 21 maggio 2015

Vile Caliber - Tomorrow's For Those Who Dare

Tomorrow's For Those Who Dare

Release date : Finland May 22nd 2015
Release Date International: July 6th 2015

Label: Inverse Records

Tracklist:
01. Dare to Love & Lose Control
02. Animal
03. Black Karma
04. Intertwine to Inspire
05. For the Sake of Romance
06. Lost & Lustbound
07. Snakebite Trail
08. Break the Chains to Free Us


Come un mago che tira fuori dal cilindro il caro, vecchio coniglio che sempre sorprende e sempre lascia a bocca aperta nonostante sia un trucco ormai tra i più conosciti e classici, la cara e magnifica Finlandia ancora una volta sorprende e ci stuzzica con una nuova proposta musicale che arriva direttamente da Helsinki.

I Vile Caliber sono giovani, son bellocci, hanno fascino, ma la cosa fondamentale è che sono bravi perché, diciamoci la verità, senza quest'ultima, basilare qualità, si può andare avanti fino ad un certo punto, ma poi sei costretto a scontrarti con la dura realtà dei fatti e, possibilmente, cambiare anche mestiere e lasciar fare musica a chi di musica se ne intende!

I cinque ragazzi debuttano per Inverse Records con Tomorrow's For Those Who Dare, un disco composto da otto, piacevolissime tracce che mettono d'accordo un po' tutti i gusti, soprattutto quelli di chi ama un hard rock versatile e brillante, che si fonda su melodie orecchiabili, riff stuzzicanti, assoli di chitarra molto veloci e una voce piacevole capace di spaziare tra le note.

C'è un pizzico del più classico heavy metal nella opener "Dare to Love & Lose Control" che forse vuole omaggiare i grandissimi Judas Priest, si passa poi ad una sfumatura più rock in "Animal" che poi lascia spazio ad una più dura "Black Karma", stemperata però dalle dolci note di "Intertwine to Inspire", classica ballad rock con un ottimo assolo; l'anima festaiola della band si fa avanti con l'accattivante e scanzonata "For the Sake of Romance", da ascoltare a tutto volume e con le finestre spalancate in una calda giornata estiva, ma non mancano note pesanti e più decise che subito si impongono con "Lost & Lustbound" che sembra quasi defluire senza soluzione di continuità nella traccia successiva, "Snakebite Trail", per poi concludersi nel pezzo finale, "Break the Chains to Free Us", un vero e proprio inno rock.

Come al solito le terre del Nord ci abituano fin troppo bene e anche il caso dei Vile Caliber è esemplificativo di quanto la musica venga presa estremamente sul serio lassù, dove l'aria fresca e frizzante pare sussurrare all'orecchio dei musicisti qualcosa che noi forse non potremmo mai comprendere, ma che a quanto pare c'è, perché se loro la sentono è evidente che esiste e può essere impressa dentro ad un disco.

Aspettiamo sviluppi ulteriori, ma per adesso il debutto ci convince nonostante l'identità della band pare non essere ancora ben delineata: dopotutto anche maghi più famosi, prima di diventare tali, hanno dovuto copiare dai più grandi maestri i trucchi del mestiere.

6.5/10
Dora


Members:
Artturi - vocals
Jan - guitars
Riku - guitars
Henri - bass
Vesa - drums

Picture by Miika Karttunen

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We Butter The Bread With Butter - Wieder Geil! Recensione

Wieder Geil!

Label: AFM Records

Release: 22 Maggio 2015

Tracklist:
01. Ich mach was mit Medien
02. Exorzist
03. Anarchy
04. Berlin Berlin!
05. Bang Bang Bang
06. Gib mir mehr
07. Rockstar
08. Thug Life
09. Warum lieben wir nicht mehr?
10. Zombiebitch



Un consiglio: non guardate troppo intensamente la copertina di questo disco perché rischia di ipnotizzarvi, se poi indugiate troppo su di essa mentre vi accingete ad ascoltare anche i dieci pezzi che compongono l'album è davvero la fine... o almeno, non fate nulla di tutto questo se non volete essere catapultati in uno strano mondo simile a quello di Alice nel Paese delle Meraviglie in una versione un po' folle, dove la parte brutale e feroce del deathcore si fonde alla perfezione con la parte industrial ed alternative della musica, facendo rimbalzare le sensazioni in un miscuglio quasi psichedelico di una lucida pazzia.

I We Butter The Bread With Butter, band tedesca al loro quarto album, il primo sotto la bandiera AFM Records, offrono tutto questo con Wieder Geil!, perfetta linea di demarcazione tra parte razionale di un mondo terreno e pragmatico espresso egregiamente con un growl incisivo ed uno scream da far rizzare i capelli in testa, unitamente ad una parte strumentale massiccia e pesante, che non ha paura di lasciarsi tentare da tastiere e sintetizzatori che serpeggiano leggeri e dinamici tra i brani, creando una sorta di trance mistica che spiazza e sconvolge, portandoci realmente al limite della follia, proprio lì dove quella linea tra i generi si divide o forse si unisce indissolubilmente, sparendo e perdendo senso.

Mixato da Daniel Haniß (Eskimo Callboy), masterizzato da Aljoscha Sieg (Pitchback Studios), Wieder Geil! è un'esperienza musicale da provare almeno una volta nella vita, se non altro perché sembra quasi impossibile che istanze musicali tanto diverse possano realmente convivere tanto bene insieme, salvo poi rendersi conto che sembrano essere fatte l'una per l'altra, una specie di matrimoni d'amore in cui è proprio vero che gli opposti non fanno altro che attrarsi invece che allontanarsi. 

Devastanti sono tracce come "Exorzist" e "Berlin Berlin!", scelta per essere il singolo di lancio dell'intero album, la cui particolarità è anche quella di essere cantato non totalmente in tedesco, ma con alcune incursioni in inglese, un po' per aumentare quell'effetto alienante e straniante che fin dal primo ascolto confonde la mente. "Bang Bang Bang" lascia un po' allibiti, forse perché ricorda effettivamente troppo un tipo di musica uscita direttamente da una discoteca, ma nel complesso dell'album è anche accettabile, soprattutto in relazione alla traccia successiva, una crudissima e crudelissima "Gib mir mehr". Ad interpretare al meglio lo spirito dei We Butter The Bread With Butter è "Rockstar", vivace e pimpante, che però non perde la sua matrice di fondo, quella più terrena e spessa che sembra essere l'elemento determinante della band.

Forse il primo ascolto ha bisogno un po' per essere assimilato a chi non è un cultore del genere, ma dategli un occasione anche voi che non amate il metalcore, ne resterete stupiti!

7/10
Dora



Line Up:
Paul Bartzsch (Vocals)
Marcel Neumann (Guitar, Vocals)
Maximillian Pauly (Bass)
Can Özgünsür (Drums)

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mercoledì 20 maggio 2015

Crystal Ball - LifeRider Recensione

LifeRider

Release: 22 Maggio 2015

LabelMassacre Records


TRACK LIST
1. Mayday!
2. Eye To Eye
3. Paradise
4. Balls Of Steel
5. Hold Your Flag
6. Gods Of Rock
7. Take It All
8. Bleeding
9. Rock Of Life
10. Antidote
11. LifeRider
12. Memory Run
Digipak Bonus Tracks:
13. Sacred Heart
14. Sign Of The Southern Cross
15. Not Like You

A volte c'è bisogno di certezze! Di quei dischi che, in qualsiasi modo suonino, ti sappiano rimandare con assoluta sicurezza e senza ombra di dubbio ad una band, ad un genere, ad una sensazione. E' come la proverbiale comfort zone: non ti può succedere nulla se sei entro i suoi confortevoli, materni confini; sei protetto, coccolato e perfino la musica non ti può dare alcun dispiacere: tutto è perfetto, assolutamente giusto, niente può andare storto e tu sei felice e soddisfatto.

LifeRider degli svizzeri Crystal Ball, in uscita il 22 maggio per Massacre Records, è esattamente questo: un album che rientra nella zona di comfort, che suona proprio come dovrebbe suonare, con quelle sue grandi e belle chitarre, con le sue melodie vocali varie che rendono diverse e piacevoli ognuna delle dodici canzoni contenute nella versione standard del disco, con quel suo sound anni '80 molto evocativo che è la perfetta miscela tra heavy metal ed hard rock melodico e con quei suoi riff e la spessa sezione ritmica che non delude mai.

Le aspettative non vengono affatto deluse già a partire dalla opener "Mayday!", solo la prima di ottime tracce che proseguono con l'energica "Eye to Eye" accattivante duetto con Noora Louhimo, cantante della band finlandese Battle Beast, perfetta nel suo ruolo di controparte femminile; "Paradise" e "Balls of Stell" non fanno altro che riconfermare l'impressione di trovarsi in un album pregno di quell'atmosfera anni Ottanta che sembra essere il filo conduttore che lega indissolubilmente ognuno dei pezzi, rendendoli coerenti tra loro.

Non mancano pezzi più morbidi ed accorati come "Bleeding" e la magnifica "Memory Run" con Stefan Kaufmann (ex-Accept, ex-U.D.O.) alla chitarra acustica.

LifeRider è una conferma e una piacevole certezza, arricchita da tre pezzi che nella digipak fanno la loro discreta figura dopo i dodici che hanno saputo far scivolare il tempo senza fretta, portandolo indietro con discrezione e deferenza, omaggiando non solo quel genere in cui i Crystal Ball sono maestri, ma anche un periodo storico in cui la musica suonava esattamente come doveva suonare!

7.5/10
Dora



LINE-UP
Steven Mageney - Vocals
Scott Leach - Guitars
Markus Flury - Guitars
Cris Stone - Bass
Marcel Sardella - Drums

COAL CHAMBER – “Rivals”

COAL CHAMBER – “Rivals”

Label: Napalm Records

Release date: 22 May 2015

Tracklist
1. I.O.U. Nothing
2. Bad Blood Between Us
3. Light In The Shadows
4. Suffer In Silence
5. The Bridges You Burn
6. Orion
7. Another Nail In The Coffin
8. Rivals
9. Wait
10. Dumpster Drive
11. Over My Head
12. Fade Away (Karma Never Forgets)
13. Empty Handed




Che mancavano dai palchi i Coal Chamber erano 13 anni e niente da allora avrebbe fatto presumere in un loro possibile ritorno.

Affidandosi a Mark Lewis (Whitechapel, DevilDriver) per la produzione, “Rivals”, in uscita il prossimo 22 maggio per Napalm Records, è la sommatoria di 13 anni di valutazioni e bilanci racchiusi in tredici tracce.

Un’alchimia che sembra non essere scomparsa del tutto, provando come il duro lavoro e le vicissitudini più o meno personali possano in qualche modo rafforzare e riavvicinare. Mike Cox martella senza tregua fra esplosioni metalcore dell’opener “I.O.U. Nothing” e reminiscenze numetal in “The Bridge You Burn” che mettono in risalto i muscoli tirati dell’ugola d’oro di Dez Fafara.  

Le canzoni sono facilmente assimilabili, “Suffer In Silence” è la tipica canzone alla Coal Chamber, quella che ti permette di intraprendere un viaggio a ritroso nella memoria storica del crossover con ripartenze veloci e melodie graffianti che ti lasciano i segni e fanno ricordare al mondo chi e cosa erano.

Intervallate da echi post punk, le canzoni subiscono una leggera perdita di memoria verso la fine, come se la benzina fosse improvvisamente terminata, ma Dez Fafara, Miguel Rascon, Mike Cox e Nadja Peulen sanno il fatto loro  dando il meglio di sé anche nei momenti di empasse.

Possono ritenersi fortunati i fans dei Coal Chamber perché si ritroveranno tra le mani un album maturo e più aggressivo rispetto ai precedenti, una sorta di mea culpa che a posteriori farà apprezzare maggiormente questo lavoro.

7,5/10

Formazione:
Bradley "Dez" Fafara - voce 
Miguel "Meegs" Rascon - chitarra 
Nadja Peulen - basso 
Mike "Bug" Cox - batteria 

martedì 19 maggio 2015

KAMCHATKA – Interview

KAMCHATKA – Interview




"Long Road Made Of Gold" will be release next week via Despotz Records (here our review in italian); today we had the pleasure to talk with one of the three members of the band, Thomas Andersson, vocals and singer.

If you want to catch their vibes read more...

Well, first of all, I wanna thank you guys for giving us this interview. It’s a pleasure.

Les Fleurs du Mal: Kamchatka is an unusual name for a band, how did you get this kind of idea?
Thomas: We had the idea that if our music would be a place on the planet what would it look like, we searched on the internet and in books and decided that Kamchatka was a place that looked just in that way with its extreme and dynamic features, just the way we feel when we play our music on stage.

LFdM: In the same way “Long Road Made Of Gold” is a romantic name for an album, what’s the meaning behind?
Thomas: The life of being part of something as beautiful as the world of music, traveling around the world performing, writing, rehears, recording really is a “Long Road” and the reward is the music itself or “Gold” as the title refers to.

LFdM: How would you describe your sound to someone who never heard you before?
Thomas: I think we sound like a modern three piece rock group with a lot of blues incorporated and if you like any kind of rock music I think there is plenty to find listening to Kamchatka.

LFdM: What are the main differences between this album and your first one?  We can talk about musical growth?
Thomas: The first Kamchatka album came 10 years ago and, of course, the band evolves and we learn new things along the way and there are many things that are different now both in how we approach what we do and the fact that Per Wiberg have such a strong influence to the group in the way he directs compositions and perform live.

LFdM: What do you think about the blues scene? Is it only a matter of trend?
Thomas: The blues will always be there and it comes and goes over the years depending on how much of it that gets exposed by artists and media, but the blues is and will always be present.

LFdM: When you compose a song where do you get your ideas from and how does a song evolve?
Thomas: Ideas for new songs can come from anything really at any time and for me it’s really important to have my hand recorder with me all the time, so I can grab hold of the music that floats around in the air and when something turns up i hum or whistle the melody or the riff. The next step is to listen through all these small ideas and start working them out on the guitar and, when I find something really cool, I start to do a simple demo with drums, bass, guitar and song structure. Then, when I feel like I have recorded something cool, I send it to Toby and Per and ask them what they think of it and if a song idea is good enough and survives this process it might end up on a Kamchatka album.

LFdM: “Long Road Made Of Gold” melds with success psychedelic rock with more classical stoner rock. Was this a conscious decision when the band started out or has this sound developed during the course of writing songs?
Thomas: We have never spoken about what we should or should not sound like and we try to be as transparent as possible and let the songs tell us what they want to sound like. I think when working with this type of music it’s dangerous to get “to intelligent” about it and it’s more a matter of going with the flow and if the songs are good enough stories can be told.

LFdM: The concept behind this album and its emotional impact, is this purely a psychological study, or is there a deeper specific motivator?
Thomas: The motivation for the three of us in Kamchatka has always been to let the music lead us to different places and emotions. The lyrics are also very important to us and most of the songs tell stories from our personal life experiences.

LFdM: What albums of the past inspired your interest in production and songwriting?
Thomas: I listen to a lot of different music, everything from folk music to metal and it’s difficult to name a specific album for me. I want to be as open as possible to new music just to be able to get influenced by new sounds, mixes and ideas to keep on growing as a songwriter, guitar player and artist. 

LFdM: What inspired you to start writing and producing music or simply to become an artist? 
Thomas: It started when I was 6-7 years old with being exposed to rock music through my fathers old vinyl records and I just got totally crazy when I heard all these classic bands and artists, my parents gave me an electric guitar as a Christmas gift when I was 8 and that was it for me.

LFdM: Thank you so much and we hope to see you on stage as soon as...
Thomas: Thank you so much  Michela and yes I hope we meet live sooner than later!


Michela for Les Fleurs Du Mal WebZine


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Faith No More – “Sol Invictus” recensione

Faith No More – “Sol Invictus” 

Pubblicazione: 19.5.2015

Etichetta: Ipecac Recordings

Tracklist
Superhero
Sunny Side Up
Separation Anxiety
Cone of Shame
Rise of the Fall
Black Friday
Motherfucker
Matador
From The Dead



Correva l’anno 1998 e nessuno avrebbe mai pensato che quello sarebbe stato l’ultimo di una band che, per oltre un decennio, ha rappresentato ciò che va oltre la musica: un simbolo, un’icona che va dal grunge al metal, dal pop al rock. Non c’è una sola persona che non abbia almeno un album dei Faith No More in casa e sarebbe superfluo spiegarne il perché.

Quando si sta però per 17 anni fuori dai riflettori, almeno in parte, se consideriamo i vari progetti paralleli di Mike Patton (Tomahawk, Fantômas ect..), le insidie sono dietro l’angolo. Rispetto ad altre band prestigiose che hanno continuato la propria carriera andando di pari passo con la rivoluzione musicale, quando si abbandona un ragazzo nell'età dello sviluppo il rischio è quello di ritornare e trovare al suo posto un uomo maturo e poco propenso ad accettare compromessi. Certo, pretendere un Angel Dust parte II sarebbe stato troppo anche per loro, ma almeno ritrovare, oltre alle emozioni, quel suono inconfondibile che riconosceresti anche senza ausili acustici lo desideravamo tutti.

“Sol Invictus" stava già maturando nella mente dei cinque geni di San Francisco da molto tempo, ma è l’estate del 2014 che porta allo scoperto alcune tracce come "Superhero" e "Motherfucker", dissipando anche alcuni dubbi su questo atteso ritorno.

L’istrionico Mike Patton, sempre in gran forma, dimostra di avere acquisito in questi anni una maggiore consapevolezza dell’enorme dono concessogli dagli dei, facendo però sembrare allo stesso tempo l’album più un tribute alla sua bravura che altro. Cercando di staccare la mente da quello che furono i bei tempi, ed analizzandone i contenuti, troviamo che tracce come "Rise of The Fall", "Matador" e "From The Dead" sono veramente eccellenti, con sincopatici giri di basso di Gould ed un Roddy Bottum che sembra abbia insegnato alle tastiere l’arte del teatro.

Un full length che mostra tutta la propria eccentricità anche con intriganti colpi di scena che vanno ad omaggiare i western movie all'italiana o i super eroi dei cartoni animati, il crossover punk metal faithnomoriano dimostra ancora una volta la propria superiorità, mentre le canzoni se pur ad intervalli irregolari crescono, prima marginalmente poi scavando sempre più nel profondo.

Ci vuole un’attenta analisi e lunghe ore di ascolto per farsi catturare dalle atmosfere che si celano dietro ogni arrangiamento, ma sono i Faith No More, e per quanto ci sforziamo di catalogare questo album fra le prime delusioni di questo anno, non potremmo fare a meno di acquistarlo.

7/10
Michela

Membri:
Mike Patton - voce
Jon Hudson - chitarra
Bill Gould - basso
Mike Bordin - batteria
Roddy Bottum - tastiere


lunedì 18 maggio 2015

Cain's Offering - Stormcrow recensione

Stormcrow

Label: Frontiers Music Srl

Release: 18 Maggio 2015

Track Listing
1. Stormcrow
2. The Best Of Times
3. A Night To Forget
4. I Will Build You A Rome
5. Too Tired To Run
6. Constellation Of Tears
7. Antemortem
8. My Heart Beats For No One
9. I Am Legion
10. Rising Sun
11. On The Shore



Ci sono giorni in cui la musica suona un po' tutta uguale, solo un prodotto preconfezionato, costruito appositamente per imboccare i fan come se fossero uccellini appena nati che hanno bisogno della mamma per nutrirsi, ma che non sanno ancora come distinguere ciò che è veramente gustoso da quello che, invece, viene propinato loro tanto per tappare quel buchetto che hanno allo stomaco; certo, così ti sfami, tiri avanti, ma non c'è sapore e non puoi comprendere tutte le sfumature, la vera bellezza che si nasconde nei gusti, nelle mille sfaccettature delle cose, nei sapori, negli odori... nei suoni.

A volte la musica è così, un po' un omogeneizzato, il tappabuchi della giornata, quella cosa che ascolti per passare il tempo, ma alla quale non presti davvero attenzione. Ho detto che a volte è così, perché ci sono delle volte, in cui la musica non è solo uno snack da mordicchiare per noia, ma è qualcosa di straordinariamente piacevole, quell'intermezzo di puro godimento che fa volare alta la tua anima facendole scoprire orizzonti nuovi, dandole la sensazione di avere l'universo tra le mani, il potere assoluto, il dominio incontrastato dell'universo. 

Succede questo quando ascolti per la prima volta il nuovo disco dei finlandesi Cain's OfferingStormcrow, una ventata di aria fresca che spira direttamente dal Baltico, frizzantina come una bella bottiglia d'acqua gasata tenuta in frigorifero per tutto l'invero e ora pronta a refrigerarci in queste torride giornate alle porte dell'estate.

Le basi per un ottimo disco ci sono già tutte a partire dai grandi nomi che danno forma a questo progetto musicale. Avete presente Jani Liimatainen, ex chitarrista e songwriter dei Sonata Arctica? Molto bene. Ora aggiungeteci anche l'immensa voce di Timo Kotipelto (Stratovarius) e avrete solo una minima idea di quello che andrete ad ascoltare.

Qui non si tratta solo di power metal. E' qualcosa di molto più ampio, che coinvolge qualcosa di più che un singolo genere: è il concetto della musica ad essere messo in gioco, la stessa musica che in Finlandia sembra risuonare forte e potente.

In queste undici tracce è come se ci fosse concentrato il meglio dei Sonata Arctica e degli Stratovarius, quello che e lo dico a malincuore, da troppo tempo ormai non si sentiva più in queste grandiose band, ma che ora rivive grazie ai Cain's Offering; nel metal melodico di "The Best of Time", nell'irresistibile "A Night To Forget", nelle poderose e potentissime "I Will Build You A Rome" (che è anche il singolo) e "Constellation Of Tears", nella raffinatissima e pressoché perfetta "To Tired to Run" il cui inizio lento e morbido si apre poi ad un respiro più ampio, quasi immenso grazie anche ad una prestazione vocale impeccabile, per poi toccare punte quasi sinfoniche miste ad accenni progressive in "Antemortem", che ricorda un po' i Nightwish uniti ai Darkwater.

C'è davvero tutta la musica concentrata in un solo disco e non è musica qualunque, ma una musica che parla dritta al cuore e che lo fa con un linguaggio universale, che tutti possono capire, ma soprattutto apprezzare ed amare.

9/10
Dora


Members:
Timo Kotipelto - Vocals
Jani Liimatainen - Guitars
Jens Johansson - Keyboards
Jonas Kuhlberg - Bass
Jani "Hurtsi" Hurula - Drums

KAMCHATKA: "Long Road Made Of Gold"

KAMCHATKA 
Long Road Made Of Gold

Despotz Records 

Pubblicazione: 25/05/2015

Tracklist:
01. Take Me Back Home
02. Get Your Game On
03. Made Of Gold
04. Human Dynamo
05. Rain
06. Who´s To Blame
07. Mirror
08. Slowly Drifting Away
09. Long Road
10. To You
11. No One That Can Tell
12. Devil Dance



A cavallo tra gli anni Sessante e Settanta i gruppi blues hanno proliferato ad un ritmo impressionante, non soltanto negli Stati Uniti ma anche in Europa, contrapponendosi alla corrente più oscura e tormentata di quel periodo. Tantissimi i gruppi hard rock che hanno fuso elementi jazz e blues al loro stile, andando così a creare un suono capace di catturare l’interesse di moltissime persone con gusti musicali completamente diversi tra loro.

Gli svedesi KAMCHATKA, dopo il successo ottenuto con il precedente The Search Goes On, pubblicheranno il prossimo 25 maggio per la Despotz Records, Long Road Made Of Gold, che sarà in grado, a nostro avviso, di soddisfare moltissimi palati.

Un distillato di hard rock dal retrogusto blues che incorpora al suo interno elementi progressive più contemporanei e che, come un buon whiskey invecchiato, ha richiesto un processo produttivo molto lungo ed una completa dedizione ad esso, esplodendo in un tutta la sua essenza quando la batteria di Tobias Strandvik, diventa frenetica ed ipnotica e la voce di Thuoma Andersson, psichedelica e graffiante.

Un album coinvolgente e travolgente dove la fluidità del suono, che ritroviamo in canzoni come "Rain" e "Mirror" e "Long Road", rappresenta l'ingrediente segreto sufficiente a non farvi venire nemmeno un dubbio sul suo acquisto.


Michela
8/10

Line Up:
Per Viberg
Thomas Andersson
Tobias Strandvik

venerdì 15 maggio 2015

HANDS OF ORLAC INTERVISTA

HANDS OF ORLAC -  INTERVISTA





Questa band nasce nel 2009 a Roma e dopo alcuni live finalmente nel 2010 riescono a far uscire il loro primo demo autoprodotto "Vengeance from the Grave"


Fortemente influenzati dai maestri dell'horror Goblin  abbiamo voluto scandagliare le loro tenebre ed addentrarci nel loro mondo fatto di ombre e sagome che danzano nell'oscurità.

QUI la nostra recensione di "Figli Del Crepuscolo" (Horror Records/Terror from Hell)


LFdM: La musica degli Hands of Orlac affonda palesemente le sue origini in quell'universo romantico di stampo Ottocentesco, ma anche in quella che è la letteratura horror del primo Novecento. Anche il nome è evocativo di questo background culturale che la band sembra aver abbracciato in toto, quasi assimilandolo. Ci potete raccontare qualcosa del processo che vi ha portato a definirvi come band?
HoO: Nell'estate del 2009 abbiamo deciso di dare forma ad un gruppo che rappresentasse le nostre necessità musicali. I rintocchi di  campana di Black Sabbath e l'affissione della maschera sul volto di Barbara Steele hanno dato vita a questo processo.

LFdM: "Les Mains d'Orlac" è un romanzo di Maurice Renard pubblicato nel 1921, altra riprova del vostro amore per una determinata estetica, per un certo tipo di mondo. Come mai avete scelto questo genere, che cosa vi ha colpito tanto da desiderare di tradurre in musica un così particolare filone letterario?
HoO: Sebbene appassionati di horror in tutte le gradazione, il nostro scopo è sempre stato quello di usare tinte sfumate e tendenti allo scuro, senza linee nette. Abbiamo quindi deciso di percorrere un sentiero non direttamente visibile  per le ombre che lo celano. Per quanto riguarda il nome ci siamo però ispirati al film muto di Weine del 1924 che incarnava meglio la nostra intenzione da tradurre in musica piuttosto che il riadattamento degli anni '60 che nonostante Christopher Lee non la rispecchiava affatto.

LFdM: Romani trapiantati in Svezia. È stato un cambiamento difficile da affrontare o la necessità che vi ha spinto a riunire tutti i membri in un solo luogo ha avuto la meglio su qualsiasi altra cosa?
HoO: Quando nel 2011 la line-up è diventata mista è iniziato il processo, dopo essere stati molte volte in visita, che ha portato alla fine del 2012 al trasferimento degli ultimi due membri italiani rimasti. Di certo essere tutti nello stesso paese ha reso le cose più facili per il gruppo piuttosto che dover prendere l'aereo per potersi riunire. Tale passaggio non è stato completamente facile e indolore ma ha permesso la realizzazione di Figli del Crepuscolo.

LFdM: I paesi scandinavi sono famosi per il loro clima inclemente, per i lunghi mesi di luce perenne alternati a quelli in cui il buio più totale la fa da padrone. Come si accorda tutto questo con il vostro genere musicale?
HoO: Vivendo tutti nel sud della Svezia (anche Stoccolma si trova nel terzo inferiore del paese),  la differenza non è così intensa come potrebbe essere all'estremo nord. Non vedere il sole per dei mesi a causa del cielo coperto può influire parzialmente su ciò che si produce musicalmente rispetto ad un clima tropicale ma nel nostro caso il disco che ne è risultato è molto più "italiano" rispetto al disco precedente.

LFdM: Quanto il nuovo ambiente circostante ha avuto una parte nei testi del vostro ultimo lavoro discografico?
HoO: I testi sono sempre di stampo orrorifico, tratti da film e racconti o scritti ad hoc. Nel caso dell'ultimo disco il testo di Noctua è stato ispirato dall'ambiente circostante al lago di Arrie dove il disco è stato per la maggior parte ideato.

LFdM: “Figli del Crepuscolo” è pregno di tantissimi spunti di riflessioni che toccano non solo quelli già citati fino ad ora, come un certo retaggio letterale, un'estetica crepuscolare forse dettata anche dal luogo in cui ora tutti vivete, ma è anche saturo di riferimenti cinematografici. Cosa e quale genere cinematografico vi attira di più?
HoO: Il gruppo è molto influenzato dal classico del gotico italiano e dai film della Hammer. Non ci interessava di affrontare un discorso più diretto di horror come ad esempio il genere slasher che non riteniamo compatibile con la nostra musica nonostante siamo fruitori di tutto ciò che di qualità offre il genere. 

LFdM: Chi ha curato l’aspetto grafico? Che non è mai da sottovalutare dato che è un po' come un biglietto da visita per il disco.
HoO: La copertina è stata realizzata da Julia Edetun che ha saputo rendere perfettamente quello che avevamo in mente per rappresentare il contenuto. Il resto dell'aspetto grafico è stato curato invece da noi stessi della band.

LFdM: L'impressione che subito si ha della vostra band è quella di una grande coesione a livello musicale. E’ tutto meravigliosamente coerente e ben concepito. Come si arriva a instaurare un rapporto di questo genere tra persone che arrivano da mondi diversi?
HoO: Nella attuale incarnazione della band abbiamo trovato, sebbene con punti di provenienza ed idee differenti, stili complementari che convergono verso una direzione comune.

LFdM: Se è molto facile inquadrare la matrice letteraria e cinematografica che si nasconde dietro al vostro lavoro, più complesso è rintracciare con estrema chiarezza le vostre influenze musicali alle quali attingete per la vostra musica.  Ci sono band imprescindibili alle quali non potete non volgere lo sguardo quando componete?
HoO: Molto dobbiamo ai Black Sabbath e alla NWOBHM di Witchfynde e Angel Witch ma è inevitabile che ci sia una forte influenza delle nostre radici italiane sia nel Dark Sound che nel Rock Progressivo Italiano, primi fra tutti i Goblin.

LFdM: Quanto lavoro fate per mantenere integra la vostra identità personale?
HoO: Non facciamo un particolare lavoro per mantenerla. Manteniamo la direzione che vogliamo seguire senza essere soggetti ad interferenze esterne, ma perseguiamo il nostro percorso con un idea chiara di dove vogliamo andare essendo influenzati da ciò che incontriamo sul cammino.

LFdM: La vostra musica ha un sapore retrò, purtroppo oggi si parla spesso di mode e non di riscoperta di certi valori, avete un particolare tipo di pubblico al quale volete arrivate?
HoO: Pensiamo che chi è interessato ad un certo genere di musica è più facile che possa apprezzare la nostra band non abbiamo un target specifico.

LFdM: L'ultima domanda di rito è quella che ha a che fare con i vostri progetti per la promozione di “Figli del Crepuscolo”. Avete in programma un tour che, magari, toccherà anche l'Italia?
HoO: Stiamo lavorando all'organizzazione di concerti nella seconda metà del 2015, possibilmente suonando anche  in Italia. Per essere al corrente riguardo ai movimenti futuri inerenti al gruppo ci si può aggiornare su handsofevil.blogspot.se

LFdM: Vi ringraziamo enormemente per la vostra disponibilità e per averci dato la possibilità di ascoltare “Figli del Crepuscolo”. In bocca al lupo per la vostra carriera e per il vostro futuro!
HoO: Grazie a te per lo spazio concessoci e per l'interesse nella nostra band.

Dora per Les Fleurs du Mal

Link:
Metaversus
Bandcamp
Blogspot


VOODOO - “The Human Eater Turbine" recensione

“The Human Eater Turbine"

Release: 19/02/2015

Produzione: V3 Recording

01. The Human Eater Turbine
02. When You Were a Kid
03. His Sorrow
04. Hurt Ourselves Inside
05. The Invisible Boy
06. Over the Red Fields
07. Moonlight
08. The Place
09. Cannibals




E' come è accaduto a Dorothy Gale: è passato un uragano, solo che non mi sono ritrovata nel mondo di OZ, ma catapultata indietro nel tempo, più precisamente negli anni Settanta, quando la musica suonava di libertà e dannazione, quando i diavoli del blues punteggiavano di una certa malinconia i brani che si riempivano di tutti i sentimenti che una band si portava dentro, inneggiando al cielo ideali che forse oggi sono ormai diventati polvere.

In realtà non è passato alcun uragano, ma una band di Casale Monferrato, i Voodoo, che con "The Human Eater Turbine" presentano il loro primo lavoro musicale completo (hanno pubblicato solo un EP nel 2013 intitolato "Everybody Has To Go Someday").

Il disco appare subito un gradevole e variegato aperitivo pieno di assaggi musicali dove quasi ogni gusto viene accontentato, pur ovviamente rimanendo nella coerenza di un progetto ben strutturato che si snoda principalmente su sonorità che attingono ispirazione soprattutto dal rock anni '70 e dal blues, spaziando dal folk fino all'alternative metal, arrivando anche all'hard rock.

Quello che stupisce di più è sicuramente la voce di Vike che si colora di toni molto caldi ed avvolgenti, ma che sa anche essere graffiante quando serve, senza mai strafare o esagerare, puntuale e precisa come la chitarra, il basso e la batteria, ai quali si aggiunge, di tanto in tanto, la presenza di un solenne organo che rende il suono corposo, a volte perfino imponente.

"His Sorrow" è una traccia variegata, resa particolare anche da quelle incursioni elettroniche che la rendono perfino un po' diversa ed interessante, ma è "Hurt Ourselves Inside" a monopolizzare la scena, nonostante anche "The Invisible Boy", con quella sua sonorità da ballata folk, sia un brano assolutamente piacevole e degno di nota, di sicuro uno tra i migliori dei nove proposti.

In questo disco d'esordio la materia prima c'è e si sente. La cosa che fa davvero piacere è che anche in Italia si possono trovare prodotti di ottima qualità non solo tecnica, ma fatti con il cuore e con la passione di chi ha voglia di emergere e di distinguersi.

7.5/10
Dora



Members:
Vittorio “Vike” Giorcelli - voce, chitarra
Stefano “Teto” Cavaliere - organo, synth, basso
Stefano Bollo - batteria