Nella campagna alessandrina lo
scorso 10 maggio si è svolta la prima edizione dell'Argonauta Fest,
un’occasione che ci ha permesso non solo di apprezzare dal vivo le band che in
questi mesi abbiamo recensito ma anche, con alcune di loro, di scambiare impressioni
e stati d’animo.
Tra i gruppi che maggiormente
stanno catturando l’attenzione di molti ascoltatori ci sono i Nibiru, ovvero un
insieme di vibrazioni che nascono dalle viscere della terra per esplodere in un
vortice di suoni.
A parlarci di loro e della loro
musica sono gli stessi protagonisti Ardath, Siatris e Ri.
LFdM: Ciao ragazzi, prima di
iniziare un doveroso saluto da parte della mia socia Dora che è anche l’autrice
della recensione che avete di recente letto sul nostro blog del vostro ultimo
album “Padmalotus”, e che ci teneva, visto che non è qua, a mandarvi i suoi
saluti.
NIBIRU: CIAO DORA grazie di
cuore per le parole!
LFdM: Benissimo, premetto subito
che non sono una giornalista, pertanto, rispetto agli addetti ai lavori, non
andrò alla ricerca delle piccole sottigliezze tecniche, ma l'intervista sarà un
po’ più viscerale ed istintiva. Parlando di “Padmalotus” la prima sensazione
che mi ho avuto è stato questo senso di libertà, come se le canzoni fossero
uscite ed incise subito su nastro, senza studi particolari, aggiustature ecc…
cose che si fanno abitualmente in uno studio di registrazione alla fine. Ecco,
qualcosa che non è stata studiata a tavolino prima.
Ri: Assolutamente l’impressione
che hai avuto è proprio quella. Noi non confezioniamo niente, né tanto meno
partiamo con un’idea predefinita in testa, tutto ciò che avviene in quel
preciso momento in cui ci troviamo assieme viene trasformato in suono. Ovviamente si ottiene il buono ed il cattivo,
quello che ci convince al momento viene tenuto mentre il resto viene scartato o
riascoltato in seguito per capire se effettivamente è roba da buttare.
Sicuramente il fattore immediatezza gioca un ruolo fondamentale.
LFDM: Quindi il vostro suono è
frutto dell’improvvisazione o della sperimentazione. Faccio questa domanda
perché oggi ritengo che vi è un notevole abuso della parola “sperimentazione”
che fa perdere di valore al reale significato della parola stessa.
RI: Assolutamente è figlio
dell’improvvisazione, di sperimentazione nella nostra musica ce n’è veramente
molto poca, è quasi assente ad essere onesti. Anche se rispetto a Netrayoni
questo album ha pezzi più strutturati rispetto ai precedenti, non sarebbe stato
di fatto possibile ripeterci o riproporre anche solo lontanamente lo stesso
suono, l’unica cosa che abbiamo affinato, diciamo cosi, è stata quella di conferire a questa improvvisazione una struttura più solida rispetto agli album precedenti.
Ardath: Ripetere Netrayoni
sarebbe stato impossibile, nel senso che non sapevamo nemmeno noi cosa stavamo
facendo. Netrayoni è figlio di una situazione, cosi come tutte le nostre
canzoni e tu non puoi riproporre qualcosa che è unica nel suo genere.
Violentarci per riprodurre la stessa cosa sarebbe stata una presa in giro prima
nei nostri confronti poi verso il nostro pubblico. Potrebbe anche succedere,
magari fra tre anni capiterà di nuovo chissà.
LFdM: Quindi possiamo parlare di
un'urgenza più personale che non musicale?
RI: No personale non direi, non
abbiamo detto “adesso facciamo un disco più strutturato”, semplicemente dai
riff, dai giri che sono venuti fuori, l’album ha assunto una corposità di più
tecnica, ma prendilo sempre con il beneficio del dubbio, perché comunque
l’improvvisazione rimane la stessa. Ci siamo ritrovati fra le mani dei pezzi
più strutturabili, registrati sempre in presa diretta e ce li siamo immaginati
come potevano suonare con queste sovraincisioni, che rimangono pochissime e
comunque più definite dall’uso dei synth, piuttosto che campionate.
LFdM: Quando registrate o pensate
ad un pezzo, la vostra idea principale è quella di una riproduzione precisa da
studio o di un'interpretazione da riproporre live?
Ardath: Live assolutamente, il
nostro studio di registrazione è un non-studio, quando registriamo il nostro
pensiero va subito all’esibizione live, l’intensità è e deve essere la stessa.
LFdM: Beh è piuttosto inusuale ed
importante per una band se consideriamo la durata dei brani, i vostri sono
molti lunghi quindi occorre fare un grosso lavoro per non, passatemi il
termine, annoiare il pubblico.
Ardath: Devono essere canzoni in grado
di coinvolgere il pubblico, il tempo diventa relativo e devi avere la capacità
di fermarlo o farlo scorrere in modo fluido.
LFdM: Sì me ne sono accorta,
quando si ascoltano le vostre canzoni il tempo perde il suo significato è come
se foste in grado di annullarlo e questo obbiettivo credo che sia stato
centrato in pieno.
RI: Ottimo, ti ringrazio e sono
d’accordo, alla fine il tempo si dilata o si annulla semplicemente perché
esiste, se non esistesse non saremo qui adesso. Sicuramente non accettiamo le
imposizioni, questa è stata anche la scelta nei precedenti album di
autogestirci, perché non avremmo mai accettato delle imposizioni o delle cose
predefinite. Fortunatamente per questo album abbiamo trovato una persona, come
Gero, che consapevole di questo ci ha lasciato molta libertà di espressione in
questo senso.
LFdM: L’alchimia. E’ stata una
delle domande che ho posto a Gero quando ho avuto occasione di intervistarlo,
riuscire a trovare quell’equilibrio fra etichetta e band che va oltre la
semplice richiesta di mercato, che oggi giorno è praticamente inesistente
perché la maggior parte delle persone non sa cosa vuole, cosa cerca, prende tutto
(o quasi) per buono soprattutto se questo ha un forte impatto a livello di
immagine. Lo vedo quotidianamente, la musica viene messa in secondo piano
rispetto all’immagine che una band (consciamente e furbamente) vuole
trasmettere.
RI: Assolutamente d’accordo. E'
molto facile accontentarsi e prendere per buono tutto quello che ti viene
proposto ed è estremamente facile oggi etichettarsi.
LFdM: Soprattutto voi non
assomigliate a nessuno ed è un altro aspetto da non sottovalutare, perché è altrettanto
facile mettere sul mercato un prodotto dove la prima cosa che viene evidenziata
è l'appartenenza, il famoso asso nella manica che ti permettere di acquisire a
priori quelle 100 copie senza nemmeno averlo ascoltato, è un po' come se
dicessero di voi che assomigliate ai Black Sabbath solamente perché le vostre
influenze provengono dagli anni '60 e '70.
RI: Secondo me c'è un discorso anagrafico che è
imprescindibile, visto che nessuno di noi è più un ragazzino, credo che alla
fine il prodotto che abbiamo ottenuto non sia altro che l'aver portato
all'interno del nostro lavoro inconsciamente le nostre influenze giovanili, dall'heavy
metal al death, dall' industrial e dark wave degli anni 80, tutto lì. Ripeto,
inconsciamente, perché di conscio nella nostra musica non vi è assolutamente
niente.
LFdM: Ammetto che avevo un po' di
timore a citare certe influenze parlando della vostra musica solo perché quando
ami un certo genere musicale, vedi la dark wave, si tende a percepirlo anche
laddove non c'è in realtà, quindi sono contenta di questa conferma, soprattutto
perché avete fatto vostro una piccola parte di ognuno di questi generi. Un
altro aspetto interessante nella vostra musica è il linguaggio che utilizzate
per i testi. Come e dove nasce quest'idea? Sempre che dietro ci sia un'idea
ovviamente.
Ardath: L'idea è nata quando abbiamo
iniziato a lavorare su Caosgon, serviva qualcosa che potesse legare con la
nostra musica, che avesse maggiore libertà gestionale, fonetica e di
espressione. Abbiamo iniziato a provare e l'enochiano e si è inserito
perfettamente, è anche molto ritualistico come la nostra musica, ma nemmeno
questo è stato voluto.
Siatris: Sinceramente non mi
ricordo nemmeno quando lo abbiamo scelto. Semplicemente quando abbiamo finito
ed abbiamo riascoltato i brani ci stava. È avvenuto tutto in modo molto
naturale, come la vita, senza dover pensare a come farlo o quando farlo,
abbiamo svuotato la mente e l'abbiamo fatta correre ed è anche quello che ci ha
unito fin dall'inizio.
LFdM:Sotto certi aspetti mi
ricordate molto alcune band nord europee. Alcune delle vostre caratteristiche si avvicinano
molto di più al nord Europa anche come mentalità che non al nostro paese o
comunque ai paesi latini. Anche perché in nord Europa avevano già fin dai primi
anni 70' iniziato a fare un certo tipo di musica simile al vostro, qua ancora
non c'è nessuno.
RI: Assolutamente si. Ti faccio
un esempio banale ma che rende l'idea, praticamente in tutte le nostre
recensioni, viene menzionato il genere krautrock degli anni settanta, ti posso
assicurare che nessuno di noi tre ha un disco krautrock in casa, questo ti fa
capire quanto la cosa sia venuta spontanea e quanto sia difficile per gli
addetti ai lavori darci un'etichetta, che può anche starci se devi, in un certo
senso, instradare gli utenti.
LFdM: La mente di
tutto questo è unica o ognuno ha la sua parte?
RI: Unica, musica, parole vengono
assemblati assieme, a parte i testi che li gestisce Ardath, il resto può
nascere da un giro di basso piuttosto che da un synth.
Ardath: Ecco perché, come
dicevano all'inizio è difficile riprodurre Netrayoni, sarebbe come fare un
concerto completamente improvvisato, è un disco che ha un inizio ma non ha una
fine, mentre già Padmalotus ha il suo finale, potremmo rifarne alcune di
canzoni da Netrayoni e saremmo sicuramente in grado di farlo, ma non avrebbero
le stesse vibrazioni.
LFdM: Voi attingete molto anche
dalla cinematografia horror, specie quella grande italiana degli anni '70. Questo
anche in funzione di una eventuale scelta per un video o no?
RI: Siamo molto legati ad un
certo tipo di filmologia italiana, un po' più limitati sulla questione video a
dirla tutta perché tendono un po' a bannarci, visto che per qualche scena saffica
la censura ci ha colpiti nonostante si trovi in giro video ben più osceni, ma
va bene cosi.
LFdM: Diciamo che ce la facciamo
andare bene dai sarebbe inutile questionare sul niente direi. E per il domani?
Ardath: Da Padmalotus sono
avanzati almeno quattro pezzi che abbiamo dovuto lasciar fuori altrimenti
diventava un album doppio, quindi dal punto di vista produttivo stiamo andando
ancora a mille.
RI: Ovviamente l'urgenza di
accendere gli amplificatori e vedere cosa viene fuori c'è ancora, fermare
l'attimo, siamo curiosi anche noi di scoprire cosa potrà succedere, chissà
magari quattro alcun in quattro anni, tutto è possibile.
LFdM: Rispetto a moltissime band
siete arrivati al successo ad un'età già avanzata, è stato la realizzazione di un
sogno?
RI: Beh tutti noi abbiamo
iniziato molti anni fa, ma sì, penso di poter parlare a nome di tutti, una
sinergia come adesso non c'è mai stata quindi è stata sicuramente una realizzazione
sia dal punto di vista personale che musicale importante che doveva venire
fuori ora ed cosi è stato.
LFdM: Ragazzi che dirvi, grazie
mille e ci vediamo tra poco sul palco.
NIBIRU: grazie a te.
Michela
"Padmalotus" recensione Qui
Argonauta Fest photo gallery Qui
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